Abbiamo conosciuto la figura di Sylvia Plath leggendo il libro “Le ultime confessioni di Sylvia P.” di Lee Kravetz, edito Fazi Editore.
Dalla penna di Kravetz è trapelata la figura di una donna forte ma al tempo stesso fragile, piena di insicurezze che tentava di nascondere dietro la maschera dell’artista.
Così abbiamo provveduto a fare delle ricerche e oggi siamo qui per raccontarvi di lei.
Così abbiamo provveduto a fare delle ricerche e oggi siamo qui per raccontarvi di lei.
Sylvia Plath nasce il 27 ottobre 1932 a Boston da Aurelia Schober e Otto Emil Plath. Aurelia proviene da una famiglia austriaca, mentre Otto, nato in Germania, si trasferisce negli Stati Uniti per completare gli studi, diventando un famoso entomologo e professore di college.
La vita di Sylvia scorre tranquilla per poco tempo, fino a quando suo padre comincia ad avere problemi di salute: gli viene diagnosticato il diabete mellito che, dopo l’amputazione di una gamba, lo portano alla morte il 5 ottobre 1940, quando Sylvia non ha ancora otto anni. Questo la getta nello sconforto, ma trova riparo nella poesia e infatti pubblica la sua prima opera proprio in quel periodo.
Anche se la morte del padre comincia a squarciare l’anima della bambina, che crescendo non riuscirà a rimarginare del tutto la ferita, si tiene tutto dentro, imprigionando il dolore e non facendolo uscire sul serio, neanche attraverso la penna.
Nonostante tutto la sua carriera nella scrittura, tra poesie e racconti, va avanti, facendole ottenere un discreto successo già da giovanissima, ma allo stesso modo avanza anche la sua depressione, dove alterna periodi di ottimismo a quelli di pessimismo più intenso.
Nel 1950 si iscrive allo Smith College, un istituto privato femminile nel Northampton (Massachusetts) ma il 26 agosto 1953, mentre sta frequentando il suo penultimo anno, tenta per la prima volta il suicidio, così viene ricoverata all’istituto psichiatrico McLean Hospital, in cura dalla psichiatra Ruth Beuscher che diventerà una vera e propria amica, tanto da decidere di seguirla anche una volta uscita.
Pressata dalla presenza costante e asfissiante della madre, Sylvia riesce lo stesso a riprendere le redini del proprio destino e nel 1955 conclude il college, laureandosi con lode e ottenendo una borsa di studio Fulbright per poter andare a studiare all’università di Cambridge, Inghilterra.
La fama non tarda ad arrivare neanche in Europa, dove viene più volte pubblicata nel giornale studentesco Varsity.
Il 25 febbraio 1956, a un party, incontra il Ted Hughes, anche lui aspirante poeta. Inizialmente i due non riescono a rimanere lontani troppo a lungo, spinti entrambi da una forte attrazione fisica.
Passione e poesia sono i collanti che tengono i due uniti e infatti si sposano subito: il 16 giugno dello stesso anno alla chiesa di St. George The Martyr, a Londra. Unica invitata la sempre presente Aurelia, madre di Sylvia.
Dopo una luna di miele tra Benidorm, Parigi e il West Yorkshire, tornano a Cambridge, mantenendo però la relazione segreta per timore che Sylvia potesse perdere la borsa di studio.
Finito il college, i coniugi si trasferiscono negli Stati Uniti, ma se Sylvia sostiene a pieno regime il marito nello sfondare nella poesia, quest’ultimo non ricambia nel modo giusto e mentre la carriera di lui comincia a decollare, lei diviene insegnante allo Smith College.
Ferita dal fatto che non riesce a scrivere poesie, decide di lasciare l’insegnamento a tempo pieno per diventare receptionist part-time al reparto psichiatrico del Massachusetts General Hospital.
Quando si trasferiscono a Boston, Ted è già un poeta affermato, così riesce ad aiutare effettivamente la moglie che comunque decide di seguire il seminario di scrittura creativa con Robert Lowell, considerato il fondatore della poesia confessionale di cui Sylvia diverrà esponente.
Appena arrivata, lo stile e le poesie di Sylvia colpiscono nel profondo il sia il professore stesso, che la osanna ogni volta che gli è possibile, sia il resto degli studenti, scatenando l’ossessione morbosa della sua rivale Anne Sexton che, nascondendosi da amica, proverà in tutti modi a metterle i bastoni tra le ruote.
Sul finire del 1959 Sylvia e Ted decidono di vivere a Yaddo, la colonia per artisti, ed è qui che scrive “Il colosso”, con riferimenti alla morte del padre. Quando scopre di essere incinta, però, si trasferiscono nuovamente a Londra dove il 1° aprile 1960 nasce Frieda Rebecca, divenuta poi anch’essa poetessa oltre che pittrice.
Il rapporto con Ted, però, non è così idilliaco come lo mostrano i due in pubblico. Lui intraprende numerose relazioni extraconiugali e alza spesso le mani verso la moglie, con una violenza che cresce sempre più.
La poesia – insieme all’amica psichiatra – continua a essere l’ancora di salvezza della Plath, che pubblica la prima raccolta di poesie: “The Colossus”. Rimane incinta subito dopo, ma perde il bambino a seguito delle continue percosse da parte del marito.
Nell’estate del 1961 termina il suo romanzo autobiografico “La campana di vetro”, e nella sua vita entrano David e Assia Wevill, che diventano subaffittuari dell’appartamento. Ted, però, inizia una relazione con Assia che non cessa neanche quando si trasferisce con Sylvia nel North Tawton.
Nel frattempo Sylvia rimane nuovamente incinta e il 17 gennaio 1962 nasce Nicholas Farrar, e finalmente, nell’estate dello stesso anno, Sylvia decide di interrompere il matrimonio con Ted.
A dicembre si trasferisce con i figli a Londra, in un appartamento dove aveva abitato William Butler Yeats (1865-1939), suo scrittore preferito. Sylvia vede questo come un segno del destino: un modo perfetto per ricominciare con la sua vita.
Continua con la scrittura delle poesie e completa la raccolta “Ariel” (che Ted pubblicherà modificata dopo la morte dell’ex moglie. Sarà Frieda, nel 2004, a pubblicarla così come era in originale).
La vita di una donna separata non è facile, figuriamoci negli anni Sessanta. Se a questo aggiungiamo che è un’artista e per questo squattrinata, capiamo bene le condizioni di vita in un appartamento di Londra, con due bambini piccoli da mantenere. Immaginate quindi come doveva vivere quando, nonostante tutto ciò, l’ex marito continuava a picchiarla e minacciarla di morte.
La depressione torna al suo culmine, e poco le importa se il 14 gennaio 1963 riesce finalmente a pubblicare “La campana di vetro”, con lo pseudonimo di Victoria Lucas, quando ha costantemente Ted che la umilia e la fa sentire come fosse niente.
L’11 febbraio 1963 Sylvia si alza alle 4:30 del mattino per preparare la colazione ai figli. Alle nove sarebbe dovuta arrivare una ragazza per badare a loro, che non avrebbero più trovato la madre. Sylvia, infatti, si toglie la vita inserendo la testa nel forno a gas.
Il 18 febbraio 1963 viene celebrato il suo funerale, nella chiesa di St. Thomas The Apostle a Heptonstall, dove è tuttora sepolta.
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