lunedì 13 maggio 2024

#StorieRomane: Sacrifici umani

Non è un mistero che le civiltà antiche fossero solite a svolgere sacrifici per diverse divinità. Erano gli esseri viventi a rimetterci, e non mancavano anche i sacrifici umani, tanto descritti nelle mitologie.

Roma non ne era da meno. Per accaparrarsi la grazia del divino era solita, almeno legalmente fino al 97 a.C., sacrificare esseri umani, tutti rigorosamente non romani, per tenersi al sicuro dai nemici.

Oggi vi parliamo di quelli più cruenti, perché dopotutto il nostro passato è fatto anche di atrocità.

Circa nel 300-200 a.C. i Romani erano convinti che sacrificando una coppia originaria di un altro posto, Roma avesse piena protezione dall’intero popolo rivale.
Plutarco racconta che nel 228 a.C. al Foro Boario venne sepolta viva una coppia di Greci; lo stesso modus operandi è descritto nel 216 a.C. da Tito Livio che addirittura parla di un libro mastro che veniva consultato meticolosamente, facendoci capire che il tutto era un vero e proprio rituale.


Per la protezione contro il nemico potevano essere immolati schiavi, ma anche gli stessi romani, se per propria volontà. Si chiamava rito della devotio, e ne è un esempio il caso del console Publio Decio Mure. Durante la battaglia contro i Latini del 340 a.C., l’esercito romano non aveva più speranze, così poté fare l’unica cosa in suo potere: chiedere agli dèi la sua vita in cambio della vittoria di Roma. Si lanciò così a cavallo verso i nemici che lo trucidarono, ma… Roma vinse.

Qualche anno dopo, nel 295 a.C., la stessa sorta toccò al figlio, alla battaglia di Sentino. Tito Livio riporta le sue parole:

“Perché ritardo il destino della mia famiglia? È questa la sorte data alla nostra stirpe, di esser vittime espiatorie nei pericoli dello Stato. Ora offrirò con me le legioni nemiche in sacrificio alla Terra e agli dei Mani.”

Pronunciate queste ultime frasi, così come il padre, si lanciò a cavallo contro l’esercito nemico. Roma vinse ancora.

Ma non solo contro i nemici fisici, Roma sacrificava anche per favorire la natura, nel rito della Primavera Sacra. Se il periodo primaverile era intenso di grandine, carestie o pestilenze, era d’obbligo sacrificare tutti i primogeniti nati dal primo marzo al primo giugno.

Come se non bastasse le vestali, a ogni metà di maggio, erano le protagoniste del rito degli Argei, dove dal ponte Sublicio buttavano nel Tevere schiavi e non romani per calmare la divinità del fiume ed evitare inondazioni.

Se nel 97 a.C. il Senato vietò tali crimini, non vuol dire che questi cessarono, semplicemente vennero fatti nell’oscurità e in gran segreto, come testimoniano gli agghiaccianti ritrovamenti di corpi rinvenuti durante gli scavi lungo i Fori Romani.

Certo, non è un articolo tutto rosa e fiori, ma può suscitare comunque una qualche domanda. I sacrifici umani sono davvero finiti con la morte fisica? O forse ora li stiamo vivendo in altri modi e contesti, dove però a essere sacrificate sono la nostra anima e mente?

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