“… quando alli miei occhi apparve prima la gloriosa donna della mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice, li quali non sapeano che si chiamare”.
- Dante Alighieri, Vita Nova
Era il 7 luglio dell’anno 2021 quando entrammo a Palazzo Firenze, sede della Società Dante Alighieri di cui il nostro Joyce è socio vitalizio, per ammirare “Il Bacio”, capolavoro in tempera grassa su tela di lino (105 x 105 cm), commissionato da Magnum al pittore dagli echi neo-classici Roberto Ferri, nome di pregio già noto opere come “Lucifero”, “Resurrezione” e “San Giovanni”, artista geniale che potrebbe benissimo essere considerato come il moderno “Erede di Caravaggio”.
Il tondo rappresenta il bacio “impossibile” e mai avvenuto tra Dante Alighieri e Beatrice Portinari, un atto celato soltanto nei sogni più intimi e segreti del Sommo Poeta.
L’artista sceglie di concretizzare quell’Amore platonico, evocato nel capitolo primo della “Vita Nova”, quando Dante racconta i primi incontri con la sua “Donna Angelo”, arricchendolo di quell’impeto e di quella carnalità tipici dell’Eros pagano, tanto che dal tocco di Beatrice sulla tempia del suo amante nasce un ramo d’alloro, sottile richiamo al mito di Apollo e Dafne (e qui ci sovvien il gruppo scultoreo del Bernini).
Questi due corpi nudi si abbracciano dopo secoli di desiderio e di attesa, fondendosi in un amplesso sensoriale che li proietta in una dimensione fuori dal tempo e dallo spazio, in cui gli opposti per eccellenza, ovvero il Candore del panneggio bianco su cui la Musa è distesa e la Passionalità di cui è intriso il vermiglio drappo del Poeta si sposano alla perfezione all’interno di un cerchio che sancisce un cosmico equilibrio, come se quel bacio fosse una nuziale promessa.
Da notare anche la reciprocità dell’atto: Dante solleva dolcemente il mento di Beatrice, che porge le labbra mentre con il braccio destro avvicina il viso dell'amato al suo.
E poi quella mano virile che tasta il fianco agognato della sua donna, riscoprendola così reale e vivida.
Ferri riesce qui a superare quella siderale distanza tra Amor Sacro e Amor Profano che condizionò artisti come Tiziano e che provocò parecchi turbamenti nei fedeli cattolici che si ritrovavano a dover reprimere ogni accento carnale per raggiungere un’elevazione spirituale, quando l’Amore Umano (e la nostra modernità è fortunatamente molto aperta in questo) li comprende di fatto entrambi. Siamo ben lontani da quella visione di stampo medievale del “Piacere” come “Peccato”, quel peccato che condannò Paolo Malatesta e Francesca Da Polenta al girone dei Lussuriosi, quel peccato che li rese colpevoli d’adulterio e che li portò a essere ammazzati, quel peccato che impedì allo stesso Dante di avvicinarsi alla fanciulla che era stata data in moglie a Simone de’ Bardi; in questa tela il piacere è invece trionfo, è celebrazione del sentimento.
Ci diverte pensare che quest’opera, che in noi induce tanto stupore e altrettanta commozione, nella Firenze del Trecento sarebbe stata duramente criticata e considerata “vergognosa” nonché “scandalosa”; fortuna che i parametri di giudizio ed il concetto di morale si sono ammorbiditi nel tempo in favore di un’apertura verso ciò che è Bellezza, erotica o pudica che sia.
Ammirando il quadro viene quasi da perdersi in questi chiaro-scuri caravaggeschi, in questa nudità plastica, in questi sudati simboli che turbarono le notti del Divin Fiorentino e che Ferri traduce così egregiamente da porsi in competizione con “Il bacio” di Francesco Hayez, tradizionalmente reputato il più bello della pittura italiana. Altri commenti sarebbero superflui su un capolavoro così ben realizzato: il nostro Joyce ha scelto di concludere la critica con un poetico omaggio a questo sogno tramutato in tempera.
“Nell’onirica e tonda perfezione,
nitidi si fecero gli intenti,
sottratti alla penombra
di una sanguigna tension
che irrompe tra candidi veli
(che Dama Francesca inumidì di lussuria).
E così lagrime sgorgarono sulle dantesche gote,
poiché Egli sognò nell’avorio di baciar
le caste e tremanti labbra di Beatrice,
non più angelica nuvola ma sinuosa Donna
dal morbido e tiepido seno.
Oh taciuto ed immacolato desiderio,
che coi fianchi e col collo (aggraziate linee profane)
ti offri all’ardente tocco d’un Poeta che,
travolto ed arreso nelle palpebre all’Eros pagano,
mai apparve così soavemente umano”.
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