“Si chiama aura quella specie di tubo al neon che si accende intorno a certe persone, isolandole per un breve momento”
Questo è l’aforisma che rimane impresso visitando la mostra fotografica “Un certain Robert Doisneau” , allestita negli spazi espositivi di Villa Mussolini a Riccione. Il progetto è stato fortemente voluto dalle figlie dell’artista, Francine Deroudille e Annette Doisneau, ed è stato curato dall’Atelier Robert Doisneau in ricordo di uno dei più grandi fotografi che hanno raccontato il Novecento europeo. Sono esposte oltre 130 stampe ai sali d’argento in bianco e nero (ma anche alcune a colori), che raccontano l’uomo, il suo sguardo e l’epoca storica in cui è vissuto.
La mostra è introdotta dagli scatti biografici che hanno scandito il percorso umano e artistico di Doisneau, dall’anno della sua nascita nel 1912 in cui posa sorridente su una pelle d’animale, al ritratto del 1985 nel suo atelier di Montrouge, anche se lo scatto che più ci ha colpiti è il suo “selfie” del 1937, realizzato con la sua prima macchina fotografica, che è denominato appunto “Le premier Rolleiflex”.
Si procede poi con la sezione dedicata a “Paris”, con una particolare attenzione alla “banlieue”, agli ingrigiti sobborghi, alla periferia parigina in cui Doisneau era cresciuto, nella quale documenta la vita del popolo del ceto medio che cammina attraverso palazzi fatiscenti e meraviglie architettoniche, spesso inconsapevole di ciò che lo circonda.
Ci propone una città dinamica e frenetica, affollati “boulevards”, e ci presenta anche una piccola e colorata rassegna delle “Petites boutiques”, come gli empori degli artigiani, le tabaccherie, le salumerie, ma l’immagine più eloquente è “Veysseyre”, in cui non appare soltanto il negozio in sé con le merci (scarpe e pentole) esposte in vetrina, ma anche la presenza umana incarnata da un’anziana signora che passeggia sul marciapiede dopo aver fatto le sue commissioni.
L’occhio di Doisneau spesso s’imbatte nei personaggi più spontanei e vivaci come i bambini, intenti a giocare per le strade fuori dal controllo dei genitori, invisibili figure che gli adulti nemmeno notano. Il loro spirito animato e talvolta ribelle è ben rappresentato nella sezione “Les enfants”: i due scatti più significativi sono “L’enfant papillon” del 1945, in cui vediamo questo bambino solitario col grembiulino che corre sulla fangosa strada industriale di Saint Denis, e “Les frères” del 1934, un’arguta metafora della società che presenta due bambini di estrazione popolare, probabilmente fratelli poiché indossano vestiti simili, mentre si divertono facendo acrobazie in mezzo alla rue du Docteur Lecène, sotto lo sguardo giudicante e severo di altri due bambini sul marciapiede, chiaramente borghesi visto l’abbigliamento curato, che assomigliano in tutto per tutto agli adulti dell’alta classe parigina, pettegoli e snob.
“Col suo continuo strusciarsi contro l’arredo urbano, la popolazione di Parigi ha conferito alla città quella patina che abbiamo finito per amare. Anch’io col mio continuo passare in su e in giù, ho talmente contribuito alla lucidatura delle suppellettili stradali che, per la prima volta in vita mia, provo un vago senso di possesso”.
Doisneau presta una particolare attenzione alla gente di Parigi, tanto che la sezione “Les parisiens” è ricchissima di soggetti che vanno dalle portinaie degli antichi palazzi alle famiglie affacciate ai balconi durante le feste nazionali. Vengono immortalati nel loro ambiente, nella loro quotidianità, in una maniera totalmente sincera e priva di idealizzazioni, come se ci fosse un pizzico di straordinario nell’ordinario, nelle situazioni considerate scontate e banali che talvolta divengono la perfetta scenografia. Per questo Doisneau era solito appostarsi per lunghe ore, nell’attesa di un particolare allineamento tra figure e paesaggio che lo ispirasse: a volte riusciva a catturare l’attimo fuggente, altre volte chiedeva alle persone di rievocare certi gesti e nei casi più rari usava degli attori che imitassero precisi movimenti di persone magari troppo timide che non volevano farsi fotografare, ma la base del suo lavoro rimaneva l’osservazione di un mondo che “non ha nulla a che fare con la realtà, ma è infinitamente più interessante”.
“Bisogna avere il coraggio di piazzarsi in un punto e di restarci immobili: e non per qualche minuto, ma per un’ora buona, magari anche due. Bisogna trasformarsi in una statua senza piedistallo, ed è buffo, in quei casi, vedere fino a che punto si riesca ad attirare i naufraghi del movimento”.
Vi riportiamo un’immagine particolare e ironica, in cui Doisneau non è stato soltanto fotografo ma anche regista, “Fox-terrier au pont des Arts”: lui suggerì al pittore al centro di dipingere la modella seduta sulla panchina immaginandola nuda, per scatenare nei passanti scandalo e curiosità; il signore col cappello che porta il cagnolino a passeggio viene infatti rapito dal quadro, e si viene così a formare una catena di persone che si osservano a vicenda e di piani diversi che sono strettamente connessi tra loro, in una fotografia stratificata che vuole essere guardata in ogni suo elemento. Il fox-terrier è l’unica creatura immune a quella trappola visiva, tanto che fissa direttamente il fotografo, con la soddisfazione d’averlo smascherato.
Doisneau
fu inoltre uno dei pochi fotografi a riuscire nell’impresa di
cospargere di musica le sue immagini: frequentava i locali notturni in
cui si ballava dopo il lavoro e lì ritrovava un mondo sonoro oltre che
visivo, come è ben espresso in “Be-bop en cave”, in cui è proprio il ritmo
a determinare le pose dei protagonisti; il ragazzo, totalmente immerso
nella danza e nella contemplazione della propria compagna, è nel pieno
della mobilità tipica del genere “be-bop” appunto, uno stile del jazz in
voga negli anni Quaranta/Cinquanta, con tempi molto veloci.
Sempre di questa sezione non posso non ricordare la celebre “Mademoiselle Anita” all’interno del cabaret “La Boule Rouge” in rue de Lappe: non ricevendo inviti, la modella si lascia ritrarre in un secondo di sconsolata intimità, che racchiude tutta l’attesa e la solitudine di una donna che quella sera non ebbe la fortuna di essere accompagnata sulla pista da ballo. Ma Doisneau, con il suo talento, riuscì a renderla la regina indiscussa, a illuminarla come unica e bellissima.
Ovviamente, negli scatti dedicati a Parigi, non poteva mancare “Le baiser de l’Hotel de Ville” del 1950, che ha consacrato Doisneau come artista in grado di esprimere la poeticità e il sentimento attraverso la fotografia, nonostante sia riduttivo definirlo “il ritrattista degli innamorati” dal momento che le coppie che si baciano costituiscono una piccolissima parte dei suoi lavori, più incentrati sul documentare le periferie e i mutamenti urbani della metropoli francese. In mezzo a un marciapiede questo giovane d’una bellezza incredibile bacia la propria damigella d’istinto, con inaudita passionalità, rendendo il rumore delle automobili e lo scalpiccio dei passanti un contorno che svanisce in quel gesto che ha tutto l’ardore amoroso tipico della gioventù. Davanti a quell’immagine dobbiamo confessarvi che la commozione ci ha preso, perché quando Eros si manifesta in maniera così sublime in un quadro o in una fotografia, il cuore inevitabilmente sussulta e ti riporta alla mente le tue prime volte.
La sezione successiva è dedicata alla “Mondanitè”: in essa, malgrado la raffinatezza che Doisneau riesce a cogliere per “Vogue” in queste sale da ballo sontuose e ricche, è evidente come il fotografo si senta in difficoltà nell’approcciarsi a un ambito modaiolo che non lo stimola e che non lo interessa. Eppure riesce, dietro quel lusso e quegli eccessi che deve fotografare su commissione, a raccontare la futilità e la vanità di queste signore durante un “Vernissage à la Galerie Charpentier”, ben lontane dalle donne popolane che era solito ritrarre per strada. Si potrebbe pensare che Doisneau abbia tradito sé stesso in quel periodo, ma in realtà, appena aveva del tempo libero, ritornava a vagare negli angoli di Parigi in cerca del suo mondo genuino, dei suoi scorci sinceri, della sua gente umile ma piena di storie e vissuto.
L’ultima parte è dedicata a una serie di ritratti di “Célebrités” più o meno eccentriche che frequentavano i café parigini, personaggi del calibro di Colette, Jacques Prévert e Simone de Beauvoir. Vi riportiamo qui lo scatto celebrativo “Picasso dans l’atelier de Mougins” del 1963, in cui il pittore appare in una posa istrionica, circondato da alcuni suoi dipinti.
La mostra è sicuramente riuscita: risulta variegata e lascia molto spazio alle fotografie che si offrono nude e meravigliosamente essenziali allo spettatore, guidato dal gusto e dallo stile di Doisneau che viene magistralmente raccontato dalla sua eredità artistica. I capolavori esposti saranno disponibili fino al 12 novembre, con un biglietto d’ingresso intero di €12 (incluso di audio-guida). Dunque, se come noi amate la riviera adriatica e la dolce vita romagnola, non perdetevi “Un certain Robert Doisneau”, un tributo che nella cornice riccionese di Villa Mussolini incanta e sorprende al punto che tornereste a rivederla ogni giorno.
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