Stiamo scrivendo questa recensione piuttosto a caldo, perché “Fino alla fine”, di Helga Flatland, è un romanzo così emotivo che ha suscitato in noi diversi sentimenti: amore, dolore, frustrazione, rancore, perdono… e tanto altro che solo la scrittura può riuscire a riordinare.
Abbiamo già parlato dello stile dell’autrice nella recensione di “Una famiglia moderna” ed è per questo che possiamo confermare come la Flatland sia estremamente legata alla psicologia che si cela e nasce dai rapporti famigliari.
Il libro esce proprio oggi, quindi ringraziamo ancora la Fazi Editore per averci dato la possibilità di averlo letto in anteprima.
Sigrid è una donna che vive a Oslo e in apparenza la sua vita scorre tranquillamente tra il lavoro di medico e una famiglia composta dal secondo compagno, il loro figlio di appena quattro anni e Mia: adolescente nata da una sua precedente relazione.
All’interno, però, lei è ancorata al suo passato, al conflitto mai risolto con la madre assente Anne che ha sempre messo al primo posto i bisogni del marito quando questo è stato afflitto da vari ictus e pian piano diventato totalmente dipendente dalle cure della moglie.
Sigrid, da adolescente scatenata che ha potuto trovare conforto solo dal fratello Magnus, è passata a essere una donna indipendente, con gravi ferite emotive che la portano a essere gelosa del rapporto che Mia sta piano piano ricucendo col padre biologico.
È così presa dalla sua parte di realtà che solo una doccia fredda può scuoterla dal cambiare punto di vista, e questa doccia fredda è la malattia terminale della madre.
Divisa tra l’essere medico e figlia, Sigrid tratta Anne in maniera fredda, risoluta, come se fosse una sua paziente. I mesi passano e il tempo a loro disposizione è sempre meno; questa consapevolezza verrà presa come un input per fare ammenda e riconciliarsi, o l’orgoglio continuerà ad avere la meglio?
La Flatland alterna il punto di vista di Sigrid e Anne nei capitoli scritti in prima persona e al presente, con flashback quando strettamente necessario. Facendo così riusciamo a comprendere entrambe, senza cadere nel giudizio o nel recriminare nulla a nessuna delle due.
Sappiamo bene come i ricordi tendano a distaccarsi dalla realtà con il passare del tempo e prendono le immagini delle emozioni che abbiamo vissuto. Una sgridata per un comportamento da correggere può dunque divenire umiliazione pubblica, perché ci ha fatti sentire terribilmente mortificati.
Sigrid si sente abbandonata da una madre che non ha fatto altro che pensare al marito, così non ha ricordi delle sue raccomandazioni o complimenti, ed è per questo che ha passato l’adolescenza a cercare di catturare la sua attenzione, anche a costo di vivere situazioni poco piacevoli.
Anne, d’altro canto, si ricorda di una figlia che non l’ha mai ascoltata, che ignorava i suoi consigli, vedendola forse troppo indipendente e pensandola cresciuta in fretta per via della situazione medica del padre. Allo stesso tempo, sapeva perfettamente che la figlia aveva un estremo bisogno della sua presenza, quindi cercava di starci in silenzio, senza proferire parole, per non essere fraintesa.
Tra consigli che vengono scambiati per critiche e tristezza scambiata per menefreghismo, leggiamo nei loro dialoghi un’incapacità di abbattere il muro che le divide, continuando a non cercare di tradursi per non incappare nell’ennesima discussione.
Come al solito, i problemi irrisolti li diamo agli altri e tra Sigrid e Mia si sta creando la stessa identica dinamica, tanto che la seconda smette di chiamare padre il compagno della madre con cui è cresciuta da quando aveva pochi mesi, in favore del suo biologico ritornato improvvisamente nella sua vita.
Foto di Tracey Moffatt |
Sigrid si è sempre sentita ignorata e sfoga questa mancanza in un rapporto un po’ troppo stretto con una sua paziente sola al mondo. D’altro canto, però, non vede i bisogni della figlia e del compagno sfociando nell’egoismo di cui aveva accusato Anne.
La malattia è il punto d’incontro, il comando che la vita dà alle due per fermarsi e rendersi conto che nulla è mai perduto, almeno finché si continua a respirare.
“Fino alla fine” è un libro che ci invita a riflettere su quanta importanza diamo al nostro orgoglio e agli errori degli altri, ricordando, ancora e ancora, che perdonare è un vero e proprio atto dimostrativo di amor proprio.
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