La seconda opera registica di Pietro Castellitto è arrivata al concorso a Venezia80, raccontando una profonda e attenta critica alla borghesia e alla noia che essa comporta. Un film non da tutti apprezzato, che forse è stato anche poco capito, ma che allo stesso tempo si rivela l’opera più fresca di questa mostra. Un nuovo modo di fare cinema, una nuova ondata che si scaglia contro il ristagnare dell’acqua della laguna.
“Enea” ci trasporta in questo suo viaggio tra spiagge sconfinate. Oltre che alla regia, Pietro veste i panni del suo protagonista e con il suo sguardo e con i suoi sorrisi riesce a trasportarci nella sua strafottenza. Fin dai i primi istanti è tutto chiaro: viene spiegato immediatamente di cosa si vuol parlare e se si perde quel passaggio iniziale ci si perde anche il cuore di questa narrazione. Il tutto si apre con un dialogo, l’amico più intimo di Enea, Valentino sta discutendo con la madre del ragazzo sull’incapacità di intraprendere delle relazioni dalla lunga durata. Lui è figlio di pluridivorziati, donne e uomini che preferiscono la scappatoia piuttosto che resistere e lottare per quel sentimento. Coppie che preferiscono lasciarsi andare alla routine finendo col farsi vivere dalla vita piuttosto che godersela. Enea e Valentino rifugiano a tutti i costi quest’idea di vita e per farlo si nascondono dietro un tenore di vita che si possono principalmente permettere grazie ai soldi dei loro genitori.
Droga e malavita si mescolano in travagliate storie familiari che spingono sempre di più verso la resistenza o verso il totale fallimento. Del resto, la famiglia di Enea resta imperturbabile davanti alla caduta di una palma che distrugge parte della loro vita, ignorano totalmente i problemi scolastici e relazionali del figlio più piccolo e sorvolano sull’evidente abuso di droga di Enea classificandolo come un periodo di smarrimento di un giovane trentenne.
Questo film ha tutto in sole poche righe. Presenta e descrive un mondo, una cupola di vetro e ne disegna ogni singola piccola crepa. Ogni problema diviene una scheggia di vetro impazzita pronta a ferire chiunque le capiti a tiro. Non resta, dunque, che rifugiarsi nel sorriso di Enea e abbandonarsi a quello sguardo sornione che realmente non sta guardando te, ma sta pensando alla prossima avventura. Quella di Enea e Valentino (Giorgio Quarzo Guarascio) è quasi una storia di formazione la cui conclusione non è una lezione da imparare, ma un tentativo di non sconfinare nella noia che ha delineato le vite che li hanno cresciuti. Così si anela nella lieta fine e nel più totale disfacimento sulle note di “Maledetta primavera” piuttosto che cedere il passo al fallimento del continuare a vivere.
“Enea” ha la capacità di criticare con occhi clinico il mondo dal quale lo stesso autore proviene. Riesce a mettere a nudo l’abbandono e il disfacimento che segna profondamente la nostra società e, allo stesso tempo, ne delinea una via di fuga. Un film non facile da comprendere o da apprezzare, ma che se seguito con attenzione rivela anche una gran voglia combattiva. Resta solo una domanda: perchè Enea ha sempre le cuffiette alle orecchie?
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