Liliana Cavani è stata premiata, in apertura di Venezia80, col leone alla carriera e ha portato in sala il suo “Ordine del Tempo”. Una pellicola con volti noti del grande schermo italiano, ma che non ci ha convinti del tutto. Già presente nelle sale italiane dal 31 agosto.
Siamo in un’apocalittica Sabaudia, un gruppo di amici si ritrova in occasione del compleanno di Elsa (Claudia Gerini). In attesa che tutti gli invitati arrivino in questa villetta sulla spiaggia, un evento catastrofico rimbomba nei notiziari del giorno: c’è il rischio che un meteorite si schianti contro la Terra. Poche sono le certezze che si conoscono sull’eventualità di questo schianto, la maggior parte di esse arriva dall’osservatorio del Perù. Enrico (Edoardo Leo) è l’unico che può fornire qualche informazione inedita ai notiziari: lui è un fisico ed è in contatto con gli osservatori per poter calcolare la velocità del meteorite e anche la possibilità reale dello schianto. La quasi certezza del colpo sulla Terra spinge i nostri protagonisti a riflettere sulla loro vita e sullo scorrere del tempo.
Questo è film molto retorico che non aggiunge o toglie nulla allo spettatore dopo averlo visto. La Cavani prova a trarre la sua rappresentazione del romanzo di Carlo Rovelli, ma fallisce con la vacuità dei dialoghi e dei suoi personaggi. Tutto ciò che viene disquisito dai protagonisti resta, di fatto, un lungo spiegone narrativo. Ogni singolo elemento, dalle relazioni interpersonali ai loro stessi pensieri sullo schianto del meteorite, è didascalico fino alla nausea.
Se si vuol cercare di riflettere sulle possibilità che sono state perdute e sul fatto che bisogna rischiare per evitare di vivere con i ripianti, noi rimpiangiamo l’ingresso in sala. La visione di questo film ci ha tediati oltre l’inverosimile e ci ha mal disposti a digerire le sciorinate di fisica messe in bocca a Edoardo Leo. La silente accettazione dei fatti si risolve esattamente come tutto l’avvertito pericolo: con un semplice e innocuo bagliore.
C’era il potenziale per poter riuscire a costruire una narrazione in grado di fondarsi sul “caper diem”, ma la retorica gioca brutti tiri quando si perde il focus. Ci si ritrova così, come abbiamo già detto, davanti alla vacuità di vite vissute nella mediocre e noiosa borghesia. I personaggi sono totalmente rassegnati a ciò che hanno vissuto e l'imminente pericolo, nonostante ci si potesse mettere in discussione, li spinge ad autocommiserarsi.
Ripetitivo, prolisso e vuoto. Ne sconsigliamo vivamente la visione proprio perché: se si vuol ammazzare il tempo, ci sono modi migliori per farlo.
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