Roma, 16 luglio, Ippodromo Le Capannelle. Quarantuno gradi sotto il sole e una lenta attesa. I temerari si erano già messi in fila ancor prima che il sole potesse realmente raggiungere il suo massimo calore, ma l’obbiettivo era la transenna. La prima fila è irrinunciabile nonostante il caldo e le scottature che ciò comporta.
La nostra epopea è iniziata alle 11:30, l’ora di arrivo al parcheggio dell’ippodromo. Superati i primi controlli, l’unica speranza di sopravvivenza è stata l’acqua lanciata con l’idrante dalla stessa protezione civile. Apertura cancelli prevista per le ore 15, ma come se non bastasse è susseguita la consueta corsa per evitare che chi è arrivato dopo potesse essere in una posizione migliore della tua. Forse questo evento viene fatto alle Capannelle proprio perché i ragazzi si comportano come cavalli imbizzarriti. Una volta preso posto, però, inizia il momento più estenuante: il lento scorrere del tempo e il tramonto del sole dietro l’altezza del palcoscenico. Ad accoglierci e a farci compagnia c’era la meravigliosa Mirror Ball che ci spingeva a pregustare il pezzo forte della serata.
Due band a scaldare il pubblico, l’ora prevista era quella delle 18:00, ma tra sound check e ultimi preparativi era inevitabile quella mezz’oretta di scarto con il reale inizio. In loop, per intrattenerci o per stuzzicare i nostri nervi, sempre le stesse pubblicità e gli stessi brani, riprodotti sui maxi schermi che circondano il palco. Sembrava impossibile, ma sentir suonare i Willie J Healey ha riportato in vita i provati fan. Un’alternative indie in grado di trascinare le folle sulle onde del sound degli anni Settanta. Un mood quasi da commedia romantica inglese, in grado di aprire il miglior film mentale dato dalle allucinazioni del caldo e cocente sole.
Subito dopo, con un passaggio di un’altra mezz’oretta, sono arrivati gli Hives, band svedese formatasi nel 1993. Nonostante tutto, quindi, il pubblico è stato coinvolto dal frontman che saltava da una parte all’altra dello stage senza alcun tipo di sosta. La cosa divertente? I due ninja che lo seguivano pedissequamente per poter riavvolgere o tirare il filo del suo microfono. Si salta, si balla, ci si esalta specie quando si arriva al loro singolo del 2007: “Tik, Tik… BOOM!”. Italiano sgammaticato a parte, il divertimento è stato necessario per dimenticare tutta la stanchezza. Breve sosta, successiva ai salti svedesi, per riprendere fiato. Un “attimo”, ovvero un’ora e quarantacinque minuti, per poter far riposare le schiene e i piedi poggiandosi alla ben meglio gli uni sugli altri in attesa che entrassero loro: gli Arctic Monkeys. Il cambio di telecamere è stato repentino, il palco ha assunto quei toni tipici delle tv anni settanta e tutto ha cambiato rapidamente sapore. Buio in tutto l’ippodromo e luci a tempo di musica, si parte con “Brianstorm”.
Un mix di sensazioni che si unisce, anime dalla natura diversa che urlano e vibrano al ritmo delle loro canzoni. Uno strobo che ancora non ha deciso di ruotare o di illuminare il palco. Spettatori diversi, ma uniti, gente che è cresciuta o che sta crescendo con le loro canzoni. Un istante suggellato nella memoria nel momento in cui le luci accentrano lui, il frontman: Alex Turner.
Se qualche anno fa ci avessero detto che avremmo partecipato a una serata del genere, con quelle condizioni, con quei momenti, non ci avremmo creduto. Se qualche istante prima che partisse “Why’d You Only Call Me When You’re High?” o “Arabella” ci avessero detto che saremmo stati in prima fila, sotto cassa, con i bassi e la batteria a far battere il nostro cuore, avremmo preso quella predizione come follia. Eppure, così è stato. Follia per quanto reale sia stato.
Quando, però, Alex si è avvicinato a noi… quando ha toccato le nostre anime toccando la nostra parte di palco è stato magico. In un attimo di contatto con i suoi occhi, osservando il muoversi delle sue mani, ascoltando la sua voce, sentendo i suoi accordi, tutta la fatica della giornata è stata ricompensata.
Alex Turner ci ha portati all’estasi e ci ha fatto piangere come ragazzini nel cantare con lui “Fluorescent Adolescent”, per poi scaldarci il cuore nel momento in cui la Mirror Ball ha preso finalmente vita. I classici della band si sono uniti ai nuovi testi, un connubio che ha permesso il passaggio rapido e sistematico dei propri ricordi, del resto: “The best you ever had / Is just a memory and those dreams”*. E questa è sicuramente una notte da ricordare, da rivivere, da tenere profondamente legata a noi. Per Roma, per una sera, si è concessa agli Arctic Monkeys e Alex Turner è stato nostro.
*Il migliore che tu abbia mai avuto, è solo un ricordo e quei sogni
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