Possiamo tutti concordare che, da quando è stata acquistata da Netflix, Black Mirror non è più la stessa. Fino alla terza stagione, epoca in cui la piattaforma di streaming possedeva solo i diritti distributivi, la serie è rimasta fedele a se stessa trattando di questo futuro (talvolta passato) distopico. Un mondo in cui la tecnologia che attualmente usiamo viene portata allo stremo delle sue conseguenze. La sensazione di inquietudine che, puntata dopo puntata, veniva trasmessa al pubblico era senza equali. Un mondo così vicino, ma allo stesso tempo spaventoso in cui si poteva intravedere quel fondo di attuale verità.
La quinta stagione aveva iniziato a palesare i primi segni di cedimento, ma erano ancora ben presenti i principi che governavano la sua narrazione. Nel 2018 era anche stato lanciato il film interattivo “Bandersnatch” che se da un lato si presentava come una novità narrativa, dall’altra non ha convinto a pieno il suo pubblico. Le possibilità di scelta erano veramente ridotte e ciò spingeva verso dei finali comunque pilotati. Paradossalmente era più innovativo e “istruttivo” il gioco che era stato implementato su Netflix Italia in occasione del suo lancio. La possibilità di scelta sulle azioni di un essere vivente, aveva fatto in modo che emergesse il complesso di Dio che tutti noi teniamo seppellito. La facilità con cui scegliamo per altri, senza pensare alle possibili conseguenze, è stata da monito per un breve periodo.
Tornando alla serie, però, era ancora possibile intravedere quei risvolti tanto temuti della nostra società. Una popolazione mondiale governata dall’individualismo, dal protagonismo e dall’egoismo che usa le tecnologie solo per fini personali (di qualsivoglia natura essi possano essere). Sentimenti e relazioni messe a dura prova da elementi esterni, l’illusione di controllo sull’altro e sulla propria vita, ecco alcune delle tematiche che era possibile esplorare, ma adesso? Adesso cosa resta di quella meravigliosa serie?
Partiamo col dire che salviamo semplicemente due dei cinque episodi che Netflix ha prodotto, proprio perché la maggior parte di essi tradisce il cuore seriale e introduce elementi prolissi e fantasy. Ma procediamo con ordine, puntata dopo puntata. Quindi sì, ci saranno degli spoiler, ma abbiamo aspettato il tempo necessario per poter analizzare questi episodi, così da poterli approfondire insieme.
Uno degli episodi che vogliamo salvare perché, in fin dei conti, fa leva su un piccolissimo cavillo presente nella nostra quotidianità: termini e condizioni. Tutti noi siamo iscritti a diversi social network, così come alle stesse piattaforme di streaming e forniamo, quotidianamente, la merce di scambio dal più alto valore di mercato: i nostri dati. Accettare termini e condizioni, molto spesso, è un’azione in automatico perché nessuno legge le scritte in piccolo; ciò si può trasformare in un’assurda serie televisiva che viene aggiornata giorno per giorno con le vicende che ci capitano nel quotidiano. A metà tra un “Truman Show” e l’esasperazione del nostro modo di agire, questa è una delle poche puntate che potrebbe essere reale.
Joan Tait è una donna ordinaria, fa un lavoro ordinario e ha delle crisi sentimentali ordinarie. Sta con Krish, ma non sa se davvero vuol stare con lui: pensa ancora al suo ex. Mac, infatti, è da poco tornato in città e si è subito premurato di contattarla per poter cercare di riaccendere delle vecchie passioni. Il suo lavoro, le sue relazioni, i suoi pensieri diventano presto la trama di una nuova serie televisiva disponibile allo streaming per “Streamberry”. Netflix, dunque, prende in giro se stessa e le stesse logiche produttive che molto spesso si celano dietro le sue serie. Logiche per lo più algoritmiche e perfettamente confezionate che celano una sorta di ritualità nel loro svolgimento. Joan è terribile perché la serie la vuol dipingere in questo modo, perché altrimenti non si creerebbe empatia con lo spettatore. Se tutto fosse rose e fiori nessuno guarderebbe quella serie. Puntate prodotte automaticamente da un computer quantico che riesce a registrare e prevedere le azioni della stessa Joan, ma lei è semplicemente una delle tante vittime di questa narrativa.
La serie va in onda praticamente in contemporanea decontestualizzando ed esagerando gli aspetti della sua vita per poter far in modo che lei sia terribile agli occhi dello spettatore. Il bacio col suo ex diviene di pubblico dominio, la conversazione con la psicologa ferisce il suo attuale ragazzo che viene definito insapore. Ma ciò che è più divertente è stato anche il riscontro col pubblico e l’uso del filtro che è stato realizzato da Netflix stessa all’indomani dell’uscita della serie. Tutti erano pronti e essere definiti terribili non cogliendo, forse, la verità dietro i termini e condizioni di Streamberry. È vero anche che gli americani si sono spaventati e volevano disdire i loro abbonamenti, quanta polvere sotto i tappeti nascondono quotidianamente?
Anche in questo caso, la puntata prende un po’ in giro i prodotti presenti all’interno del servizio di streaming facendo emergere la morbosità che contraddistingue pubblico e cineasti nell’ultimo periodo. Parlando di temi attuali, non possiamo fare a meno di trovare affascinante il modo con cui viene trattato il tema, quindi la salviamo per metà.
Il fascino del true crime viene così sviscerato fino a quando non si scoperchia il vaso di Pandora e si comprende che il mostro può essere più vicino di quanto si pensi. Per la serie “salutava sempre”, dunque, ci addentriamo all’interno della vita di Davis, un aspirante regista che vorrebbe realizzare un documentario nei pressi della sua città natia. Prima di iniziare le riprese, però, il ragazzo ne approfitta per poter far visita alla madre vedova così da farle conoscere la sua ragazza. All’interno della campagna scozzese, però, si nasconde un’oscura vicenda che sta minando il turismo cittadino: anni addietro, nel 1997, dalla città scomparve una giovane copia in luna di miele. Venne ritenuto responsabile di questa scomparsa l’ubriaco del paese Iain, tanto che sotto casa sua venne rinvenuta una stanza delle torture. Durante quel sopraluogo, però, il padre di Davis (allora poliziotto) venne colpito da un proiettile dallo stesso Iain; morì pochi giorni dopo l’accaduto.
Pia, la ragazza di Davis, incuriosita dall’accaduto convince il giovane regista a girare il proprio documentario su questa faccenda. La presa sul pubblico è assicurata, considerato che in un certo senso si tratta di una storia auto-biografica. Davis avrebbe, difatti, dovuto parlare dell’omicidio del padre oltre che della sala tortura. Nel corso delle ricerche, però, attraverso delle registrazioni su VHS, Pia scopre l’amara verità: non era stato l’ubriaco del paese a commettere quegli efferati atti, ma proprio i genitori di Davis. La madre del ragazzo, comprendendo che la verità è ormai venuta a galla, si suicida e il ragazzo continua col suo progetto vendendolo alla piattaforma di streaming. Il factual diviene un successo tanto da vincere i Bafta.
Grazie al documentario, la città torna a riempirsi di turisti. Quello ormai non è più il luogo di terribili atti, ma attrazione turistica per quel mercato del macabro che oggi giorno va tanto di moda.
Qui trovi la seconda parte della recensione con l'analisi degli altri tre epidosi.
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