Lo abbiamo atteso fin dal suo primo annuncio, ci siamo fatti idee e congetture con i primi rumors o le prime foto dal set, adesso -dal 20 luglio- è finalmente nelle sale italiane. Barbie, grazie a Greta Gerwig, è pronto a farci tornare bambine e a portarci all’interno di BarbieLand, un luogo in cui la fantasia prende il sopravvento.
Nonostante le numerose critiche e commenti scettici che si possono trovare online, Barbie è sicuramente una pellicola che ha fatto parlare molto di sé durante questi mesi. I meme impazzano sui social e la sfida con il suo diretto concorrente, ovvero Oppenheimer (vista l’uscita in sala concomitata), è ormai sulla bocca di tutti. Se, quindi, da una parte abbiamo un biopic che farà sfoggio di tutte le tecniche cinematografiche di Nolan, dall’altra abbiamo un mondo tutto rosa che è pronto per esser sovvertito. Quello di Greta Gerwig è un universo tanto reale, quanto fantastico; un modo per poter rendere giustizia a chiunque, almeno una volta nella vita, si è sentito inadeguato per il proprio aspetto o per le aspettative degli altri.
Siamo, dunque, a Barbieland; tutto è perfetto, è rosa e ogni singola Barbie ha la propria casa dei sogni. I prodotti della Mattel fuori produzione sono posizionati in un angolino, giusto per ricordarci degli errori/orrori che sono stati proposti ai consumatori nel corso del tempo. Qualcosa, però, non va. Improvvisamente dei pensieri oscuri si insinuano nella mente di Barbie (Margot Robbie) e tutta la sua perfezione sembra lentamente svanire in una bolla di sapone. L’unico modo per poter far tornare i propri “talloni sollevati” è quello di andare nel mondo reale e la verità non è così facile da affrontare.
Sinceramente, che la si ami o la si odi, questa pellicola ha tutto ciò che ci saremmo aspettati. La regista, nel corso della sua carriera, si è apertamente schierata nel suo attivismo femminile per poter cercare di attenzionare sotto i riflettori le disparità di genere. Dunque, prendere l’ideale di donna e destrutturarlo era più o meno alla base di questa storia. Cercheremo di non fare spoiler, ma ci atterremo solo a ciò che è stato mostrato nei trailer per poter parlare di quanto critico sia in realtà questo film.
Fin dal suo arrivo in commercio, nel 1959, Barbara Millicent Roberts (vero nome di Barbie) si è imposta nel mercato come l’oggetto più venduto. La Mattel aveva il suo prodotto di punta e lo ha fatto diventare qualsiasi cosa. In quegli anni era un modo per poter sognare, un gioco con cui poter diventare qualsiasi cosa e non semplici madri che si prendono cura di un bambolotto. Immediatamente, infatti, la Barbie si è imposta come un modello da inseguire e un ideale che ha permesso milioni di bambine di uscire dalla propria bolla. Lo spazio, il mare, il senato e via discorrendo, tutti ruoli di appannaggio maschile (specie negli anni in cui iniziava a essere prodotta). Ruth Handler, dunque, ha creato un ideale affiancandolo a tutto un mondo in grado di ruotare solo intorno alla figura di Barbie. Lei è la protagonista, tutti gli altri esistono perché lei esiste. Ken è (non) solo Ken.
Il tutto viene incentrato sulla crisi identitaria dei due protagonisti. Una ricerca complessa, fatta di emozioni mai provate che sfociano nell’umanità. In questo modo si riesce a far ridere il pubblico, tanto quanto a farlo commuovere. Contemporaneamente si riesce ad attenzionare tutta una gamma di argomentazioni che spazia dal mansplaining alla ricerca del sé. Se persino una Barbie può non sentirsi bella, lei che è stato lo stereotipo irraggiungibile che ha fatto sentire inadeguate milioni di ragazzine, allora tutto può essere sovvertito. Se una Barbie, dovendosi confrontare con le proprie emozioni riconosce la difficoltà di esser una donna, allora tutti si possono intercalare in quel personaggio. La Barbie di Margot Robbie, nonostante la sua oggettiva bellezza, ci fa diventare parte di quel mondo e ci fa sentire adeguate per qualsiasi persona noi vogliamo diventare.
Impossibile, allo stesso tempo, non porre la propria attenzione su quanto tossico possa essere il modello di mascolinità. In Ken, attraverso il suo percorso, si concretizzano tutti gli elementi "poco chiari" della nostra società. La sua fragilità viene messa in luce per dimostrare quanto si possa andare oltre i muscoli e l'abbronzatura. La critica che si dispiega con la sua caratterizzazione è feroce tanto quanto quella che viene mostrata attraverso Barbie. Perchè si, in questa società le problematiche legate al genere riguardano entrambe le facce della medaglia.
Impossibile, allo stesso tempo, non porre la propria attenzione su quanto tossico possa essere il modello di mascolinità. In Ken, attraverso il suo percorso, si concretizzano tutti gli elementi "poco chiari" della nostra società. La sua fragilità viene messa in luce per dimostrare quanto si possa andare oltre i muscoli e l'abbronzatura. La critica che si dispiega con la sua caratterizzazione è feroce tanto quanto quella che viene mostrata attraverso Barbie. Perchè si, in questa società le problematiche legate al genere riguardano entrambe le facce della medaglia.
Critico, attuale, riflessivo. Barbie ha tutte le carte in regola per poter narrare le difficoltà dell’essere e del diventare una donna.
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