Attenzione: per i temi trattati si consiglia la lettura a un pubblico adulto e non impressionabile. Questo è un racconto diviso in cinque parti. Si consiglia di recuperare le parti precedenti.
Un leggero odore di lavanda le solletica il naso mentre si propaga per tutto il buio illuminato solo dalle fiamme di venti candele viola accese. Inizialmente era stata attenta a non bagnarsi i capelli, non aveva voglia di passare la serata tra phon, piastra e prodotti anti crespo, anti bruciature, anti qualsiasi cosa le dicesse TikTok, ma dopo due minuti di immersione, si era rilassata al punto che qualche punta le era caduta lungo le spalle, bagnando a poco a poco alcune ciocche. Si è lasciata andare a danno fatto, chiudendo gli occhi e immergendosi completamente nell’acqua schiumata, tra ricordi d’infanzia dove il bagno voleva dire lasciare le Barbie libere di fare feste in piscina, o di far vivere avventure acquatiche ai Mini Pony che riaffioravano sempre con qualche brillantino in meno, cicatrici dopo aver lottato a suon di arcobaleni con chissà quale guerriero.
Ora che è adulta sa di aver sconfitto il grande guerriero, lo ha capito dal momento in cui ha lasciato il suo ufficio, e poi ancora quando incamminandosi lentamente verso la metropolitana aveva sentito dietro di sé le sirene spiegate dell’ambulanza e della scorta.
“Non importa in quale clinica superlusso andrai, hai smesso di vivere dal momento in cui hai letto quel bigliettino”.
Seduta all’unico posto disponibile del vagone centrale, Cristina aveva controllato i messaggi, ma ancora nessuna buona notizia da parte del detective, suo amico che seguiva il caso. Si mise le cuffie e andò su TikTok, dove tutto era uno scrollare di video sull’inaspettato malore che aveva colpito Simone Mangialupi, l’alto magnante ed erede di una delle aziende più importanti in Italia, quella presso cui lavorava Teresa l’addetta alle pulizie scomparsa da qualche giorno. Video di preghiere, live davanti all’ospedale dove era appena arrivata l’ambulanza, live di medium certe di parlare già con la sua anima. “Come se dall’Inferno dove l’ho spedito potesse comunicare con noi…” pensò sorridendo Cristina, per poi aprire Spotify e farsi cullare dalle sue note preferite.
Arrivata a casa, venticinque minuti dopo, la notizia della morte rimbalzava da ogni parte: alla televisione, sui social, alla radio… ne parlavano persino le persone in strada: “Un grande uomo”, “Persone così non ne fanno più”, “Ma poi improvvisamente, così giovane…”, “Certo che davanti alla Signora Nera siamo tutti uguali, eh”. Cristina sentiva una strana pulsione dentro di sé, non era senso di colpa, ma eccitazione per aver interrotto una serie di morti strane sulle quali stava indagando.
La signora Teresa non è sua madre, né ha una sorella più piccola o una zia. Cristina passa le sue giornate a osservare la gente, va loro in aiuto quando ce n’è bisogno ma soprattutto quando può. Dimostra sedici anni circa, ma ne ha dodici in più e questo la aiuta nel suo lavoro, perché chiunque si fida della piccola, timida e sperduta Cristina. Che a volte può essere Elisabetta, altre Federica, Giulia o Sonia. Non dà mai il suo vero nome.
Ricorda ancora il momento in cui Simone aveva appreso che la signora Teresa avesse una figlia, due per dir la verità. Rebecca percepì il suo smarrimento, il suo dubbio, il suo chiedersi cosa avesse fatto. Pensava di salvare gli emarginati, liberarli da chissà cosa, era convinto che alla morte del marito della signora Teresa lei non avesse più nulla per cui vivere, perché senza figli, come avevano assicurato le sue colleghe. Glielo avevano poi confermato i suoi sguardi assenti, le sue spalle sempre più curve, i suoi silenzi mentre le altre colleghe parlavano e ridevano, il suo muoversi velocemente come per finire tutto il prima possibile e lento allo stesso tempo, come per ritardare il ritorno a una casa vuota. Ed era vero. Teresa senza il marito era nulla.
«Non sapevo avesse una figlia»
«Due, in realtà» aggiunse il detective della polizia, complice silenzioso di Cristina.
«Non ne ha mai parlato con nessuno…»
«Non è obbligatorio parlare della propria vita privata con i colleghi, giusto?»
Il ricordo del sorriso di Matteo fa ridere Cristina, che riaffiora dall’acqua per respirare. Era da quel momento che Simone aveva iniziato a vacillare: con due figlie qualcuno l’avrebbe cercata, con un detective fintamente corruttibile e una squadra di privati pensava di poter depistare come meglio voleva quel caso...
Quando arrestarono anche la futura moglie del rampollo, era alla vigilia dei funerali che passarono in un batter di baleno da pubblici a privati, con invitati solo gli amici e parenti più intimi, che a quanto pare consistevano in qualche gatto appartenente alla colonia del cimitero. Nessuno osò andare, mettere un fiore sulla bara e dire una preghiera per un’anima che secondo il rapporto non ancora ufficiale aveva ucciso più di quaranta persone.
La signora Teresa venne trovata ancora agonizzante. Avevano alzato l’asticella, uccidere era diventato per loro così eccitante da mantenere in vita le persone il più possibile, tra torture e stenti. Ma ora era tornata alla vita: da sola, depressa e spaventata dopo aver vissuto il più grandi degli orrori.
Il mondo è ancora pieno di quel tipo di mostri, Cristina lo sa bene che non può permettersi una pausa adesso che Matteo ha ricevuto una promozione e con essa più libertà di movimento nei casi, ma quel bagno caldo dopo mesi di docce fredde e veloci, è tutto ciò di cui aveva bisogno. Dopotutto si merita un premio. Quando il sole sorgerà ci sarà un nuovo caso per lei, non prima.
Un leggero odore di lavanda le solletica il naso mentre si propaga per tutto il buio illuminato solo dalle fiamme di venti candele viola accese. Inizialmente era stata attenta a non bagnarsi i capelli, non aveva voglia di passare la serata tra phon, piastra e prodotti anti crespo, anti bruciature, anti qualsiasi cosa le dicesse TikTok, ma dopo due minuti di immersione, si era rilassata al punto che qualche punta le era caduta lungo le spalle, bagnando a poco a poco alcune ciocche. Si è lasciata andare a danno fatto, chiudendo gli occhi e immergendosi completamente nell’acqua schiumata, tra ricordi d’infanzia dove il bagno voleva dire lasciare le Barbie libere di fare feste in piscina, o di far vivere avventure acquatiche ai Mini Pony che riaffioravano sempre con qualche brillantino in meno, cicatrici dopo aver lottato a suon di arcobaleni con chissà quale guerriero.
Ora che è adulta sa di aver sconfitto il grande guerriero, lo ha capito dal momento in cui ha lasciato il suo ufficio, e poi ancora quando incamminandosi lentamente verso la metropolitana aveva sentito dietro di sé le sirene spiegate dell’ambulanza e della scorta.
“Non importa in quale clinica superlusso andrai, hai smesso di vivere dal momento in cui hai letto quel bigliettino”.
Seduta all’unico posto disponibile del vagone centrale, Cristina aveva controllato i messaggi, ma ancora nessuna buona notizia da parte del detective, suo amico che seguiva il caso. Si mise le cuffie e andò su TikTok, dove tutto era uno scrollare di video sull’inaspettato malore che aveva colpito Simone Mangialupi, l’alto magnante ed erede di una delle aziende più importanti in Italia, quella presso cui lavorava Teresa l’addetta alle pulizie scomparsa da qualche giorno. Video di preghiere, live davanti all’ospedale dove era appena arrivata l’ambulanza, live di medium certe di parlare già con la sua anima. “Come se dall’Inferno dove l’ho spedito potesse comunicare con noi…” pensò sorridendo Cristina, per poi aprire Spotify e farsi cullare dalle sue note preferite.
Arrivata a casa, venticinque minuti dopo, la notizia della morte rimbalzava da ogni parte: alla televisione, sui social, alla radio… ne parlavano persino le persone in strada: “Un grande uomo”, “Persone così non ne fanno più”, “Ma poi improvvisamente, così giovane…”, “Certo che davanti alla Signora Nera siamo tutti uguali, eh”. Cristina sentiva una strana pulsione dentro di sé, non era senso di colpa, ma eccitazione per aver interrotto una serie di morti strane sulle quali stava indagando.
La signora Teresa non è sua madre, né ha una sorella più piccola o una zia. Cristina passa le sue giornate a osservare la gente, va loro in aiuto quando ce n’è bisogno ma soprattutto quando può. Dimostra sedici anni circa, ma ne ha dodici in più e questo la aiuta nel suo lavoro, perché chiunque si fida della piccola, timida e sperduta Cristina. Che a volte può essere Elisabetta, altre Federica, Giulia o Sonia. Non dà mai il suo vero nome.
Ricorda ancora il momento in cui Simone aveva appreso che la signora Teresa avesse una figlia, due per dir la verità. Rebecca percepì il suo smarrimento, il suo dubbio, il suo chiedersi cosa avesse fatto. Pensava di salvare gli emarginati, liberarli da chissà cosa, era convinto che alla morte del marito della signora Teresa lei non avesse più nulla per cui vivere, perché senza figli, come avevano assicurato le sue colleghe. Glielo avevano poi confermato i suoi sguardi assenti, le sue spalle sempre più curve, i suoi silenzi mentre le altre colleghe parlavano e ridevano, il suo muoversi velocemente come per finire tutto il prima possibile e lento allo stesso tempo, come per ritardare il ritorno a una casa vuota. Ed era vero. Teresa senza il marito era nulla.
«Non sapevo avesse una figlia»
«Due, in realtà» aggiunse il detective della polizia, complice silenzioso di Cristina.
«Non ne ha mai parlato con nessuno…»
«Non è obbligatorio parlare della propria vita privata con i colleghi, giusto?»
Il ricordo del sorriso di Matteo fa ridere Cristina, che riaffiora dall’acqua per respirare. Era da quel momento che Simone aveva iniziato a vacillare: con due figlie qualcuno l’avrebbe cercata, con un detective fintamente corruttibile e una squadra di privati pensava di poter depistare come meglio voleva quel caso...
Quando arrestarono anche la futura moglie del rampollo, era alla vigilia dei funerali che passarono in un batter di baleno da pubblici a privati, con invitati solo gli amici e parenti più intimi, che a quanto pare consistevano in qualche gatto appartenente alla colonia del cimitero. Nessuno osò andare, mettere un fiore sulla bara e dire una preghiera per un’anima che secondo il rapporto non ancora ufficiale aveva ucciso più di quaranta persone.
La signora Teresa venne trovata ancora agonizzante. Avevano alzato l’asticella, uccidere era diventato per loro così eccitante da mantenere in vita le persone il più possibile, tra torture e stenti. Ma ora era tornata alla vita: da sola, depressa e spaventata dopo aver vissuto il più grandi degli orrori.
Il mondo è ancora pieno di quel tipo di mostri, Cristina lo sa bene che non può permettersi una pausa adesso che Matteo ha ricevuto una promozione e con essa più libertà di movimento nei casi, ma quel bagno caldo dopo mesi di docce fredde e veloci, è tutto ciò di cui aveva bisogno. Dopotutto si merita un premio. Quando il sole sorgerà ci sarà un nuovo caso per lei, non prima.
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