Questa è la seconda parte di un racconto. Per recuperare la prima basta cliccare qui.
Mi sono sempre chiesta se questo, alla fine, non accada un po’ a tutti quanti. Leggendo le varie biografie dei grandi leader del passato mi sono accorta di come la maggior parte abbia in realtà un carattere chiuso, un impulso a passare del tempo in solitudine. Probabilmente è per questo che riescono a capire l’altro, perché vedono prima di tutto gli aspetti del loro interno. Mentre, leggendo le biografie dei personaggi popolari, attori, cantanti, troviamo persone che fuggono dal silenzio della solitudine: amano la popolarità perché sanno che così non staranno mai soli.
Quando sono andata a Londra avevo vent’anni e un diploma luccicante che per me non aveva un reale valore. Ovviamente c’era anche la mia gemella. Studiavamo in uno di quei college che in sei mesi ti insegnano l’inglese alla perfezione, con tutte le sue sfumature di accenti a seconda di quale parte del Regno Unito ti trovi, ma sinceramente non so con esattezza se sia stato merito dei cinquemila euro spesi – diecimila, essendo doppi – da parte dei miei genitori per questo tipo di istruzione, o se perché passavamo quasi tutte le sere in giro per i pub che so parlare così fluentemente l’inglese.
Nel college c’erano moltissimi italiani, qualche greco, spagnolo, o persone dell’est Europa, eppure io e la mia gemella eravamo tra le più popolari. Possiamo ben immaginare il perché: le gemelle hanno sempre un’attrattiva in più. Completamente identiche d’aspetto, così diverse nel carattere, tanto da incastrarsi come due pezzi del puzzle, da completarsi come le due parti simmetriche di una figura. Credo che Dio scelga di dare un gemello ai caratteri più profondi, a quelli che non riescono a contenere tutto, così da potersi dividere perché altrimenti nessuna coppia riuscirebbe a portare con sé l’abisso che abbiamo dentro.
A Londra, comunque, entrammo in un’agenzia di moda, tanto per non gravare sui nostri genitori. L’obiettivo era racimolare qualche soldo senza sgobbare nelle cucine di ristoranti italiani, ma anzi: indossando vestiti favolosi, con i capelli trattati ogni due, tre giorni e provando i segreti di un trucco ben fatto. A fine corso decidemmo di rimanere a Londra per altri sei mesi, ma in realtà ci rimanemmo per cinque anni, fino al momento della Brexit. Lì ricevetti il primo, l’unico, tradimento da parte mia sorella: decise di rimanere con Edward, un ragazzino latticino viziato da genitori mezzi aristocratici e mezzi nel mondo dello spettacolo per “amore”.
Il tradimento non fu la sua scelta di vita, ma lo sbattermi in faccia per la prima volta che io non ero mai stata amata.
I nostri genitori che si dividevano tra sei figli, tutti che chiedevano cose, attenzioni, io che rimanendo in silenzio non ero mai ascoltata. I nostri amici che mi aspettavano per giocare, li accontentavo, ma loro non mi hanno mai chiesto cosa volessi. Le numerose feste a cui eravamo invitate in adolescenza, tra Roma e Londra, i bicchieri alzati nella nostra direzione, i baci rubati di notte in macchina, ma nessuno di loro che volesse rivedermi il giorno dopo.
Il viaggio in aereo per Roma fu pieno di pianti. Altri italiani mi guardavano commossi, immaginando chissà quale vita mi stavo lasciando dietro, ma non potevano capire il mio dolore.
Mi sono sempre chiesta se questo, alla fine, non accada un po’ a tutti quanti. Leggendo le varie biografie dei grandi leader del passato mi sono accorta di come la maggior parte abbia in realtà un carattere chiuso, un impulso a passare del tempo in solitudine. Probabilmente è per questo che riescono a capire l’altro, perché vedono prima di tutto gli aspetti del loro interno. Mentre, leggendo le biografie dei personaggi popolari, attori, cantanti, troviamo persone che fuggono dal silenzio della solitudine: amano la popolarità perché sanno che così non staranno mai soli.
Sorrido nel constatare, conoscendo entrambi i mondi, come i primi siano sempre davvero in compagnia, mentre i secondi davvero in solitudine.
Quando sono andata a Londra avevo vent’anni e un diploma luccicante che per me non aveva un reale valore. Ovviamente c’era anche la mia gemella. Studiavamo in uno di quei college che in sei mesi ti insegnano l’inglese alla perfezione, con tutte le sue sfumature di accenti a seconda di quale parte del Regno Unito ti trovi, ma sinceramente non so con esattezza se sia stato merito dei cinquemila euro spesi – diecimila, essendo doppi – da parte dei miei genitori per questo tipo di istruzione, o se perché passavamo quasi tutte le sere in giro per i pub che so parlare così fluentemente l’inglese.
Nel college c’erano moltissimi italiani, qualche greco, spagnolo, o persone dell’est Europa, eppure io e la mia gemella eravamo tra le più popolari. Possiamo ben immaginare il perché: le gemelle hanno sempre un’attrattiva in più. Completamente identiche d’aspetto, così diverse nel carattere, tanto da incastrarsi come due pezzi del puzzle, da completarsi come le due parti simmetriche di una figura. Credo che Dio scelga di dare un gemello ai caratteri più profondi, a quelli che non riescono a contenere tutto, così da potersi dividere perché altrimenti nessuna coppia riuscirebbe a portare con sé l’abisso che abbiamo dentro.
A Londra, comunque, entrammo in un’agenzia di moda, tanto per non gravare sui nostri genitori. L’obiettivo era racimolare qualche soldo senza sgobbare nelle cucine di ristoranti italiani, ma anzi: indossando vestiti favolosi, con i capelli trattati ogni due, tre giorni e provando i segreti di un trucco ben fatto. A fine corso decidemmo di rimanere a Londra per altri sei mesi, ma in realtà ci rimanemmo per cinque anni, fino al momento della Brexit. Lì ricevetti il primo, l’unico, tradimento da parte mia sorella: decise di rimanere con Edward, un ragazzino latticino viziato da genitori mezzi aristocratici e mezzi nel mondo dello spettacolo per “amore”.
Il tradimento non fu la sua scelta di vita, ma lo sbattermi in faccia per la prima volta che io non ero mai stata amata.
I nostri genitori che si dividevano tra sei figli, tutti che chiedevano cose, attenzioni, io che rimanendo in silenzio non ero mai ascoltata. I nostri amici che mi aspettavano per giocare, li accontentavo, ma loro non mi hanno mai chiesto cosa volessi. Le numerose feste a cui eravamo invitate in adolescenza, tra Roma e Londra, i bicchieri alzati nella nostra direzione, i baci rubati di notte in macchina, ma nessuno di loro che volesse rivedermi il giorno dopo.
Il viaggio in aereo per Roma fu pieno di pianti. Altri italiani mi guardavano commossi, immaginando chissà quale vita mi stavo lasciando dietro, ma non potevano capire il mio dolore.
Nessun commento:
Posta un commento