Spinta dalla curiosità e dalla voglia di conoscere meglio la storia italiana che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento ha visto molti dei nostri antenati affrontare un viaggio lungo settimane con impeto e coraggio alla ricerca di quel poco di felicità e dignità, ho messo play sul documentario Prime Video “New York Solo Andata”.
Dire che mi sono pentita è dire poco.
Un’ora e mezza circa di American dream raccontato solo da qualche italiano doc o alla terza generazione che nel modo più candido possibile ammette: ma sì, tutti possono venire a New York senza un soldo, fare qualche anno di sacrifici e scalare facilmente le classi sociali.
Un’ora e mezza di come solo a New York sia possibile passare da una realtà all’altra, perché solo lì è normale che un laureato in scienze umanistiche possa divenire un proficuo scienziato. Solo lì da portinaio di palazzo puoi diventare massimo professore universitario. Come se la famiglia Florio in Italia o i Middleton nel Regno Unito fossero dei semplici signor nessuno, insomma…
“If you can dream it, you can do it” (trad. “Se puoi sognarlo, puoi farlo”) diceva Walt Disney e da disneyana non posso essere più d’accordo, difatti è il mio mantra di vita e sono più che certa che il suo valore è uguale in ogni parte del mondo.
Il documentario non parla della storia della nostra emigrazione, delle pessime condizioni che gli italiani, secondi solo agli irlandesi, hanno dovuto subire se non, ovviamente, in modo abbastanza superficiale.
Esalta la struttura e la società americana così tanto che ho faticato a digerirlo dopo dieci minuti di visione. Il momento più divertente? Quando si ripete senza ombra di dubbio che solo a New York esiste la meritocrazia, che le raccomandazioni valgono zero, come se tutti stessero parlando a un pubblico di inetti che non ha neanche mezza infarinatura della cultura statunitense che, ripetiamolo, al contrario di quanto vogliano far passare, apprezza le società segrete, i club e le amicizie che influiscono sul lavoro e sulla vita.
Il tutto mascherato e nascosto dal: “Esistono gli americani, poi esistono i newyorkesi”, certo.
New York è una città che conta più di otto milioni di abitanti, provenienti da ogni parte del mondo. Se è davvero così facile, con sacrificio, perseveranza e merito scalare il successo, viene da chiedersi come mai, allora, una famiglia su quattro lì venga considerata sulla soglia di povertà. Come mai il 23% dei suoi abitanti non può permettersi beni di prima necessità, percentuale che è aumentata dal 2021 quando era al 18%.
Senza contare la criminalità che, sebbene confinata in certe zone della città, supera di gran lunga quella di qualsiasi altra metropoli al mondo.
Ancora, mi ha fatto abbastanza ridere l’intervista a un agente immobiliario italiano che esaltava i grandissimi e meravigliosi grattacieli, quando la maggior parte delle persone vive in mini appartamenti fatiscenti.
Potrei andare avanti ancora per molto, ma meglio finirla qui. Credo che un documentario per dirsi tale debba scavare a 360° o, se intenzionato a dare una sola versione, per lo meno titolarsi: “New York Solo Andata – Storie di chi ce l’ha fatta”, giusto per coerenza.
Dire che mi sono pentita è dire poco.
Un’ora e mezza circa di American dream raccontato solo da qualche italiano doc o alla terza generazione che nel modo più candido possibile ammette: ma sì, tutti possono venire a New York senza un soldo, fare qualche anno di sacrifici e scalare facilmente le classi sociali.
Un’ora e mezza di come solo a New York sia possibile passare da una realtà all’altra, perché solo lì è normale che un laureato in scienze umanistiche possa divenire un proficuo scienziato. Solo lì da portinaio di palazzo puoi diventare massimo professore universitario. Come se la famiglia Florio in Italia o i Middleton nel Regno Unito fossero dei semplici signor nessuno, insomma…
“If you can dream it, you can do it” (trad. “Se puoi sognarlo, puoi farlo”) diceva Walt Disney e da disneyana non posso essere più d’accordo, difatti è il mio mantra di vita e sono più che certa che il suo valore è uguale in ogni parte del mondo.
Il documentario non parla della storia della nostra emigrazione, delle pessime condizioni che gli italiani, secondi solo agli irlandesi, hanno dovuto subire se non, ovviamente, in modo abbastanza superficiale.
Esalta la struttura e la società americana così tanto che ho faticato a digerirlo dopo dieci minuti di visione. Il momento più divertente? Quando si ripete senza ombra di dubbio che solo a New York esiste la meritocrazia, che le raccomandazioni valgono zero, come se tutti stessero parlando a un pubblico di inetti che non ha neanche mezza infarinatura della cultura statunitense che, ripetiamolo, al contrario di quanto vogliano far passare, apprezza le società segrete, i club e le amicizie che influiscono sul lavoro e sulla vita.
Il tutto mascherato e nascosto dal: “Esistono gli americani, poi esistono i newyorkesi”, certo.
New York è una città che conta più di otto milioni di abitanti, provenienti da ogni parte del mondo. Se è davvero così facile, con sacrificio, perseveranza e merito scalare il successo, viene da chiedersi come mai, allora, una famiglia su quattro lì venga considerata sulla soglia di povertà. Come mai il 23% dei suoi abitanti non può permettersi beni di prima necessità, percentuale che è aumentata dal 2021 quando era al 18%.
Senza contare la criminalità che, sebbene confinata in certe zone della città, supera di gran lunga quella di qualsiasi altra metropoli al mondo.
Ancora, mi ha fatto abbastanza ridere l’intervista a un agente immobiliario italiano che esaltava i grandissimi e meravigliosi grattacieli, quando la maggior parte delle persone vive in mini appartamenti fatiscenti.
Potrei andare avanti ancora per molto, ma meglio finirla qui. Credo che un documentario per dirsi tale debba scavare a 360° o, se intenzionato a dare una sola versione, per lo meno titolarsi: “New York Solo Andata – Storie di chi ce l’ha fatta”, giusto per coerenza.
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