La società
cambia, si evolve, muta molto velocemente, al punto che spesso neanche ce ne
accorgiamo, lasciandoci trasportare come se fosse tutto naturale. È nel
dialogo, però, che ci si accorge del vero cambiamento e oggi noi di 4Muses
vogliamo parlare di come siano cambiati i ragazzi in età da liceo nel giro di
un decennio.
Come venivano vissuti certi argomenti (sesso, omosessualità, le
malattie mentali, ecc)?
Quanto hanno influito i social network nella formazione
dell’adolescente?
Nell’intervista che segue, le intervistate sono due delle fondatrici del blog, nate rispettivamente una alla fine degli anni ‘80 e l'altra all’inizio
del 21° secolo, entrambe diplomate in ambito sociale.
In che anno hai fatto il tuo ingresso al liceo?
F: Nell’ormai lontano 2003.
S: Non troppo tempo fa, effettivamente. Nel 2014.
In un’epoca senza social network come veniva vissuta l’adolescenza?
F: Credo che l’adolescenza sia un periodo difficile di suo, social o meno. Forse eravamo più chiusi al diverso. Ognuno aveva la sua cerchia d’amicizie e difficilmente si andava oltre. Così se si avevano interessi diversi, idee differenti, o si rimaneva in silenzio, o si veniva derisi. Entrambe le scelte portavano all’autodistruzione, comunque.
Tu, invece, sei nata nell'epoca dei social, come viene vissuta l’adolescenza?
S: Sicuramente c'è molta più apertura al diverso e sicuramente si sanno molte più cose. Oggi è facilissimo ed estremamente veloce informarsi, e molto spesso se qualcuno ha interessi diversi dai tuoi si può semplicemente prendere il telefono e imparare cose nuove. Il rovescio della medaglia però, è che si tende ad essere veramente tanto assorbiti da se stessi e dal come si deve essere e apparire. Si tende a non guardare mai veramente niente oltre a se stessi.
Come venivano vissuti il sesso e le pratiche anti-concezionali durante gli anni del liceo?
F: Io sono stata fortunata: ho fatto educazione sessuale alle medie. Forse per la scia del fenomeno HIV degli anni ’80, ricordo anche molto bene quanto se ne parlava nei teen drama come “Beverly Hills 90210”, “Dawson’s Creek”, “One Tree Hill”… Il sesso non è mai stato idealizzato, veniva raccontato per ciò che era. Poi “Sex and the city” ha fatto il resto. Insomma, se ne parlava molto e in modo sano, maturo.
S: Una sola parola: Male. O almeno, non così tanto bene. Credo dipenda dal fatto che anche se abbiamo uno strumento di informazione potentissimo in mano, nella maggior parte dei casi non viene usato per cose importanti, ma solo per stupidaggini. Mi ricordo di aver fatto per la prima volta educazione sessuale in quinta elementare e non mi ricordo nemmeno una volta in cui mi sia stata utile; o ci trovavamo davanti a persone che ne parlavano con estrema leggerezza, oppure noi alunni non prendevamo sul serio niente (o quasi niente) di quello che veniva detto. La maggior parte di quello che sappiamo, lo dobbiamo ai porno o ad internet. Ovviamente nessuna delle due cose da delle informazioni accurate al 100%.
Si parlava apertamente di omosessualità?
F: Assolutamente no. Ricordo ancora il coming out di un mio compagno delle medie, quando frequentavo il primo anno di liceo. Aveva paura di dirlo in giro, meno che mai avrebbe voluto dirlo ai suoi. Ora so che è dichiarato apertamente e ne sono felice. Se ripenso al passato, ricordo solo una persona dichiarata. Su circa quaranta ragazzini che conoscevo, ora capisco che in molti lo tenevano nascosto. È vero, però, che alcune mie compagne parlavano apertamente di voler sperimentare con donne. Forse per noi donne è più facile ammettere l’interesse verso una persona del nostro stesso sesso.
S: Si parlava di omosessualità in modo abbastanza aperto, anche se ovviamente di omofobi ce ne stavano eccome. Mi ricordo quando in primo superiore mi sono sfogata con una mia compagna di classe sul mio orientamento sessuale, mi fece outing e il giorno dopo buona parte della classe mi stava prendendo in giro. Sarò stata sfortunata io, ma mi sono ritrovata per tre anni buoni in un ambiente di omofobia latente. Con gli anni, la situazione è migliorata parecchio: se ne parlava sempre più liberamente e mi ricordo di aver avuto altre persone facenti parte della comunità LGBTQ+ in classe e a scuola, ma non ci sono mai più state prese in giro di alcun genere. O almeno non che io sappia.
E oggi? Quanto è cambiato questo scenario da quando sei stata al liceo?
F: Penso molto. Certo, la strada è ancora lunga, ma sono contenta quando vedo liceali che vivono il proprio amore senza limiti. Frequento il Coming-out, un locale sulla gay street di Roma, e capita di fermarmi a chiacchierare con loro. Avrei voluto più libertà anche “ai miei tempi”, ma sono comunque grata che sia arrivata. L’obiettivo è quello di far sentire liberi tutti, fin dalle scuole elementari.
S: Trovo che la situazione migliori esponenzialmente di anno in anno. Oggi, rispetto anche solo a quando mi sono diplomata l'anno scorso, la situazione si è già evoluta tantissimo, per fortuna, e questo è anche grazie ai social, ma anche grazie a film come "Alex Strangelove" e alle serie TV come per esempio "Sex Education".
Parliamo di disturbi, un argomento in Italia vissuto molto in sordina: le malattie mentali al liceo sono ancora un taboo o si esagera con concetti di depressione, bipolarismo, ecc?
F: Il mio percorso liceale è iniziato con il socio-psicopedagogico e poi con concluso con i Servizi Sociali, quindi si è sempre molto parlato di malattie mentali, o disturbi del comportamento. Però avevo amicizie anche fuori il mio liceo e c’era chi soffriva di bulimia, chi di anoressia, o alcune di depressione, senza che qualcuno in famiglia riconoscesse i sintomi. Ora non so se sia ancora così difficile, ma almeno un ragazzo può trovare riparo in gruppi sui social, può sfogarsi lì. Prima eravamo lasciati a noi stessi. Nessuno ascoltava e in pochi parlavano.
S: Avendo frequentato un socio-sanitario, si parlava tranquillamente e senza troppi pregiudizi di malattie mentali, ma noto che si tende sempre di più a romanticizzare e ostentare le malattie mentali. Come è diventato di moda mostrarsi sui social e nella vita reale sempre perfetti, piano piano sta diventando di moda anche ostentare e talvolta fingere di avere dei problemi o delle malattie.
C’era l’emarginazione del diverso?
F: Certamente. La diversità faceva paura, io stessa ne ero timorosa. Come ho detto prima, si conosceva solo la realtà in cui si viveva. Internet in casa era a pagamento e si poteva utilizzare solo in caso di ricerche scolastiche. La sera non si usciva e quelle rare volte che si aveva il permesso si restava per il proprio quartiere e si rientrava alle ventidue massimo. Non si conoscevano altri quartieri, se non quelli limitrofi. Essendo cresciuta all’Eur, è come se fossi cresciuta in una campana di vetro e il giudizio era cosa facile. Solo nel 2007, a diciotto anni, ho potuto ampliare i miei orizzonti e conoscere il nuovo. D’improvviso non ho più avuto alcun timore. Ho iniziato a riconoscere le mille sfumature della vita e mi sono piaciute tutte.
S: Nel mio ambiente non mi è mai successo di assistere a nessun tipo di emarginazione. Tutti parlavano con tutti senza problemi. Nella mia classe e nella mia scuola era più che comune trovare persone di altre culture e nazionalità, e tutti erano integrati.
Ora puntiamo uno sguardo al domani: secondo te verso che futuro stiamo andando per gli adolescenti?
F: Vedo gli adolescenti di oggi come dei piccoli adulti. Fanno ciò che io ho cominciato a fare a vent’anni circa: uscire tardi la sera, prendere i notturni, andare in vacanza da soli… e mi chiedo se sia giusto. Per carità, non voglio fare la maestrina, come dicevo prima sono lieta ci sia più libertà; mi domando solo se questa totale libertà stia minando quella che è l’adolescenza. È durante questo periodo che si dovrebbe imparare a stare bene anche da soli. E se non si sta bene con se stessi, difficilmente si può stare bene con gli altri. Durante l’adolescenza si cominciano a capire sentimenti come la solitudine e si fanno i primi passi verso l’indipendenza. Ora credo ci sia un’indipendenza irreale: hanno tutto, possono tutto, eppure il parere degli altri conta più di prima. Anche se rimangono a casa, hanno comunque contatti con i coetanei. È bellissimo, per carità, ma quanto può aiutarli sul serio? Ricordo molto bene quanto era salutare staccare dalla scuola, non sentire certe persone. Ora la realtà-scuola è attiva h24, 365 giorni l’anno. Forse parlo senza sapere, effettivamente. Ciò che spero è che ci sia anche più introspezione, più coscienza di sé, che abbiano momenti per ritirarsi e non sentire nessuno. L’equilibrio tra questo e la maggiore libertà, può dare vita a una generazione di persone più consapevoli di sé, degli altri e quindi più umani.
S: Non lo so e devo ammettere che da persona che teoricamente è appena fuori dall'età adolescenziale sono un po' spaventata. Ho vent'anni, eppure faccio estremamente fatica a capire quelli che oggi sono sedicenni, o diciassettenni, figuriamoci se riesco a capire i ragazzi ancora più piccoli. Vedo in loro una sfacciataggine e un'arroganza che tendono ad avere anche con chi è poco più grande di loro, ed era un'arroganza che, ad esempio, alle superiori tra i miei coetanei non notavo. Vedo degli adolescenti viziati, perché sono abituati ad averle tutte vinte dai genitori, dagli insegnanti, e dalla società stessa. Mi capita di vedere adulti completamente terrorizzati da questi adolescenti che, in realtà, sono solo dei ragazzini che devono ancora crescere.
L’intervista si conclude qui. Sono passati pochi anni da quando F e S hanno frequentato il loro primo anno di liceo, eppure da queste risposte i cambiamenti sono chiari, lampanti. Certo, il prospetto degli adolescenti del 2020 e a seguire non è dei più rosei, ma si può ancora cambiare, tornare al rispetto per l’altro e alla presa di coscienza di sé. Come sempre, non è mai troppo tardi per cambiare. L’idea del blog 4Muses nasce dal desiderio di diffondere la cultura partendo dai giovani. Noi siamo il cambiamento, noi tutti. Facciamo in modo che ne valga la pena, sempre.
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