Come ben sapete, siamo solite dare voce a chi non può parlare, o non vuole perché troppo stanco di non essere ascoltato. In una sorta di verismo del nuovo millennio, Giankarim De Caro fa lo stesso, facendoci entrare nella vita difficile di quattro donne di strada.
“Le parole hanno il valore che dà loro chi le ascolta”
-Giovanni Verga
Ambientato dagli inizi del Novecento, fino a metà anni Quaranta, il libro narra la vita di quattro giovani donne siciliane: Lucia, Provvidenza, Pipina e Grazia. Il linguaggio di De Caro è schietto, diretto, così come la sua scrittura. Le scene forti e strazianti ci tengono incollati al romanzo e di certo non stiamo esagerando se in alcuni passaggi sembra di leggere Verga o Capuana.
Questi due scrittori, esponenti assoluti del Verismo siciliano, hanno aperto per primi le porte sulla realtà, quella che non ammette censure. Anche adesso molti autori tendono a voler descrivere il mondo reale, ma allo stesso tempo lo romanzano, forse per non turbare il lettore. Il coraggio di De Caro, invece, è un dono per tutti noi amanti della letteratura. Non si può comprendere sul serio una realtà se non la si vive appieno, e ovviamente non possiamo conoscerla dalle parole abbellite.
La prostituzione, l’abuso, la povertà, l’ignoranza sono temi centrali del romanzo e vengono descritti con la loro natura buia, spaventosa e difficile. Lucia è una donna che non conosce altro che questi sentimenti. Diventa l’oggetto sessuale di un nobile quando è ancora una ragazzina, e ben presto lui la rende una merce di scambio, lasciandola poi come un bambino abbandona sul fondo di una cesta il proprio gioco preferito dopo averlo utilizzato a lungo.
Per salvare le apparenze, il nobile la dà in sposa a un ubriacone, il quale comincia a gestire il denaro di Lucia divenendo a tutti gli effetti il suo protettore. Ma questo denaro viene prosciugato dalla sua sete di vino e Lucia non può evitare la stessa vita anche alle sue due figlie più grandi: Provvidenza e Pipina. Solo Grazia, la più piccola, si salva, riuscendo ad entrare in orfanotrofio. Ci resterà per poco tempo, liberata poi dalla sorella Provvidenza.
Malavita è un grido di dolore, soprattutto quando le donne provano a ribellarsi ma vengono zittite da un mondo di uomini, facendole passare per isteriche. Lucia finisce per impazzire del tutto, legata sola in un letto. Pipina, ammalata, viene trasferita in un luogo che avrebbe dovuto prendersi cura di lei ma che in realtà la farà morire velocemente. Provvidenza, dopo molte vicissitudini e sofferenze, viene rinchiusa in manicomio. Neanche Grazia si salva dalla vita che hanno fatto le sorelle, e forse per lei è più dura perché nonostante il giro di soldi, deve fare i conti con il Fascismo, la guerra e una nuova ondata di povertà. Compie scelte discutibili, ma dettate dall’amore verso i suoi figli: Pino e Saverio.
Se è vero che tutto ciò che si fa per un figlio non porta colpa, ogni scelta presa dalle quattro donne è priva del nostro giudizio. Riusciamo a comprenderle perché De Caro è stato trasparente, non ha messo nessun velo tra noi e loro. Hanno conosciuto solo il male e hanno commesso il male per ottenere un po’ di bene.
Non hanno idea di cosa sia il bello, la tranquillità e la serenità di un focolare pieno d’amore. A loro modo sono donne giuste e forti; l’anima segnata dall’orrore, ma con la mente che prova a evadere da esso con ogni mezzo.
I personaggi secondari sono ben caratterizzati. Ci sono donne e uomini che giudicano, altri che vengono in soccorso e altri ancora che fanno buon viso a cattivo gioco. La natura umana è molto complessa, ognuno di noi agisce in base al proprio vissuto.
Consigliamo il romanzo a tutti quelli che vogliono cercare di aprirsi di più al prossimo, di uscire dalla propria comfort zone. Lo proponiamo per chi ascoltando la cronaca nera si domanda: “Ma come si fa a fare certe cose?”
Lucia, Provvidenza, Pipina e Grazia possono anche essere vissute a inizio Novecento, ma molte altre vivono ancora oggi in condizioni di schiavitù. Vivono la loro stessa malavita.
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