Napoli, si sa, è una città che vive di calcio, come poche altre al mondo. E, come tutte le città che vedono il calcio come una religione, ha bisogno di un dio che catalizzi tutte le attenzioni dei tifosi che fanno di questo sport un vero culto. E tutti sappiamo che questo dio risponde al nome di Diego Armando Maradona.
Considerato da molti il più grande calciatore di tutti i tempi, nonostante l'eterna disputa con Pelè, "El pibe de oro" ha rappresentato qualcosa di più per i napoletani, fin da quell'incredibile 5 luglio 1984, quando Maradona calcava per la prima volta il prato del San Paolo davanti a 80.000 persone in estasi. Tutti capirono, da quei pochi palleggi effettuati a centrocampo, che la storia del calcio a Napoli, di lì a poco, sarebbe inevitabilmente cambiata, e che Diego, oltre che profeta in patria, sarebbe diventato "meglio 'e Pelè" all'ombra del Vesuvio.
Reduce dall'esperienza al Barcellona costellata di luci ed ombre, in verità anche i primi anni con la maglia azzurra si rivelarono avari di soddisfazioni. La svolta avvenne con la vittoria del mondiale in Messico nel 1986, da parte dell'Argentina trascinata da Maradona che, nei quarti di finale, contro l'Inghilterra mise a segno uno dei gol più belli della storia, ma soprattutto IL GOL più discusso di sempre, con quella mano, diventata di "Dios" nel dopopartita, che ancora oggi fa tanto discutere. Anche a causa di tutte le implicazione extracalcistiche che quel gol contro l'Inghilterra comportava (vedi la questione delle Falkland), dopo quella partita e dopo quel mondiale, Maradona diventava D10S in patria, simbolo del riscatto del popolo contro il potere oppressore.
Un anno dopo, con la vittoria del primo scudetto, la stessa cosa sarebbe avvenuta a Napoli, con la città che finalmente trovava la propria rivalsa sportiva e non solo, contro lo strapotere delle grandi squadre del nord. Quel 10 maggio 1987 rappresentò una vera svolta per la città tutta, un moto d'orgoglio probabilmente partì da quella vittoria, che diede forse una scossa alla città per consentirle, negli anni successivi, di uscire almeno in parte da quel pantano socioeconomico in cui viveva sostanzialmente dalla fine del boom economico. Maradona divenne ufficialmente un dio pagano da affiancare a San Gennaro nelle cappelle votive (singolare è il caso di quella che custodisce un capello dell'argentino) che adornavano i vicoli della città e sui comodini nelle case dei napoletani.
Altri successi arriveranno negli anni seguenti: un altro scudetto, il trionfo in Coppa Uefa, una coppa Italia e una supercoppa italiana, ma possiamo ormai affermarlo con una certa sicurezza, non furono soltanto i trofei a consacrare l'argentino come dio pagano di un intero popolo. Le sue origini povere e umili, la sua innata capacità comunicativa mediante un linguaggio schietto e diretto, non intaccato dai successivi guadagni e dagli agi raggiunti, gli consentivano di essere scomodo e inviso alle alte sfere, ma al contempo lo consacravano idolo delle masse. Maradona era la voce di due popoli, quello argentino e quello napoletano, che in lui vedevano, come abbiamo già sottolineato in precedenza, una forma di rivalsa nei confronti dei "poteri forti", che venivano visti dalla gente come oppressori e responsabili della condizione di disagio in cui la città, nel caso di Napoli, versava. E' per tutte queste ragioni che lo scellerato stile di vita di Maradona, come nel più classico dei clichè del genio e sregolatezza, passò in secondo piano diventando pretesto di critiche solo da parte dei detrattori, mentre i napoletani vivevano il momento più felice dal dopoguerra.
Gli effetti sulla vita quotidiana delle persone non tardarono ad arrivare: ad esempio, molti dei nuovi nati in quegli anni furono chiamati Diego.
Tutta la città viveva in funzione di questo moderno Masaniello, fu un matrimonio felice, con qualche momento di tensione che, come nelle migliori relazioni, non intaccò mai l'amore reciproco. Destino volle però, che l'idillio si interrompesse dopo 7 anni, come nelle più classiche delle crisi del settimo anno, il 17 marzo del 1991, dopo un controllo antidoping in cui Maradona risultò positivo alla cocaina. Lo scugnizzo venuto del nulla, il povero divenuto re, lasciò la città nella notte, in fuga proprio come un re deposto. L'epopea del pibe de oro volgeva inesorabilmente verso la conclusione, ma Napoli ed i napoletani, così come tutti gli argentini, nonostante tutto, a distanza di quasi 30 anni, amano ancora follemente il loro dio per tutto ciò che è stato e che continuerà ad essere.
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