“Certo che per una partita di calcio, scendono in piazza migliaia di persone, per i problemi del nostro paese, no.” 25 maggio 2022, a Roma il clima è più che teso, l’aria è calda ma non è il caldo a opprimere un’intera città. Il silenzio è quasi surreale, non c’è chi urla per le macchine parcheggiate in seconda fila, nessuno che cerca un pretesto per litigare. Ogni romano tiene per sé le sue lotte interiori, forse assopite sotto il pensiero costante della finale a Tirana.
C’è chi stempra l’ansia con l’ironia, chi proprio non vuole parlare, chi si mettere a correre per scaricare l’adrenalina, chi è impegnato nei propri rituali scaramantici.
C’è anche chi si chiede se sia effettivamente giusto dare tutta questa importanza al calcio, soprattutto dopo gli ultimi due anni, dove ogni nostra certezza ha abbandonato le più radicate convinzioni.
“Perché non siamo un popolo che ha una passione politica, per il calcio, invece, la passione c’è.”
Questa è stata la mia risposta e mi è sembrata così ovvia da chiedermi
se fosse giusto vedere il gioco del calcio in questo modo. La domanda mi
è frullata in testa per pochi secondi, finché non mi sono risposta:
“Ahò, ma sai che c’è? Ma anche ‘sti ca**i!”
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