mercoledì 9 ottobre 2024

#Racconti: Una nuova vita

La pioggia mi bagna completamente, odio l’acqua ma non posso fare altro che starmene qui rannicchiata, al buio. Un qualsiasi movimento potrebbe compromettere per sempre la mia vita e quelle di chi sta per arrivare.     
Partorire è un istinto, nessuno mi ha spiegato come andrà, cosa dovrò fare, eppure so esattamente qual è la mia prossima mossa: risparmiare ogni energia. Si stanno muovendo nel mio ventre, a volte sono movimenti calmi, quasi impercettibili, altre sono così forti che mi lascio andare a un lamento rumoroso.

Non mi fido più degli umani, non voglio sappiano che sono qui: dentro uno scatolone dove un tempo nascondermici era il mio gioco preferito e ora quasi sicuramente sarà il luogo della mia, nostra morte.
So che la natura vuole che noi femmine partoriamo da sole, ma io non sono mai stata sola e ora sono solo spaventata. Non so chi siano le mie antenati, sono una gatta d’appartamento e nulla di certificato. Ho avuto solo degli umani che mi hanno amata, coccolata, viziata. Facevo loro le fusa e mi acciambellavo accanto quando sentivo che ne avevano bisogno.
L’istinto un giorno mi impose di scappare, il calore, come lo chiamavano, non mi faceva ragionare. Quando sono tornata, con un ventre prominente, ho ricevuto in cambio sguardi rancorosi e dopo qualche mese questo scatolone mi ha portata qui, lontana ore di macchina da casa.

Un’altra fitta, un altro miagolio squarcia il silenzio della notte. È quasi l’alba, in realtà, chissà se qualcuno mi sentirà. Ora non è tempo di pensare a chi potrebbe salvarmi, sono stanca, ho fame e… il primo cucciolo sta uscendo fuori, decisamente. Lo odoro, provo a leccarmi, spingo per aiutarlo ed espello un fagottino rosa tremante. Non ho tempo per pulirlo, perché so che ne sta arrivando un altro, e poi un altro ancora. Che strano, ora non provo più niente, sento la forte energia creatrice che si sta prendendo cura di ogni mia cellula, è lei, la Grande Madre, che sa cosa fare. Mi abbandono al suo volere pur rimanendo vigile.
Quando sento qualcuno tirare su lo scatolone non ho paura, sento che posso affidarmi, o forse è sempre Lei a farmi rimanere calma, non posso permettermi la paura.

Non ho ancora sviluppato la capacità di comprendere il linguaggio umano, quando sto bene mi basta percepire le loro vibrazioni per sapere cosa mi dicono, cosa va o non va nella loro vita e di cosa hanno bisogno. Ma adesso sono ancora debole. Sono nati tre cuccioli, e due sono ancora in procinto. Io non mangio da giorni vorrei dormire ma se chiudo gli occhi non riuscirò a completare questo parto, che è tutto ciò che davvero voglio.     
L’umana, so che è una femmina perché lo sento dagli ormoni, cammina a passo spedito, oscillando la scatola e i miei tre cuccioli sono finiti in un angolo, tutti acciambellati vicino per farsi calore. Ogni tanto si ferma e la sento chiacchierare con qualcuno, poi riprende il cammino più velocemente e nel frattempo ho dato alla luce il quarto.

Il bip-bip comune delle macchine mi fa capire che mi sta portando da qualche parte, probabilmente dal veterinario. Solitamente ho paura di quell’uomo che mi tocca, tasta in modo freddo e meccanico, ma adesso mi sento sollevata, non mi interessa cosa ne farà di me, ma potrà di certo vedere se ai miei piccoli serve qualcosa. L’umana mi posa sul sedile, chiude lo sportello e dopo qualche secondo riapre il suo, per mettersi alla guida. Non so quanto dista il suo veterinario, so solo che sto perdendo ogni lucidità, ma devo far uscire l’ultimo, poi potrò arrendermi.

Riprendo coscienza in una stanza talmente illuminata che gli occhi ancora non riescono ad aprirsi del tutto. So che qualcuno è accanto a me perché ne percepisco l’odore estraneo e subito mi rendo conto che non sento quello dei piccoli. È questa preoccupazione a farmeli spalancare, miagolo impaurita perché non riconosco il luogo.     
«Shh. Tesoro, va tutto bene».

Non ho tempo per rimanere impressionata dal fatto che ho capito il linguaggio umano. Miagolo, deve capire che voglio saperne di più.
«I tuoi cuccioli stanno tutti bene, l’ultimo è il più vispo del gruppo. Stanno a pochi metri da te, aspetta...».
Sento dei movimenti delicati, la guardo armeggiare con delle coperte. Lei è attenta a non mettere troppo del suo odore su di loro, sa che poi non li riconoscerei più. Deve essere un’anima antica, o comunque capirne di gatti.
Mi muovo leggermente, sento qualcosa tirarmi sotto la mia pancia, i cuccioli, ancora totalmente ciechi e senza peli, cercano le mie mammelle e succhiano. Il latte arriva copioso e ora, finalmente certa che sopravvivranno tutti, posso addormentarmi serena.

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