Nel corso dei secoli, molti pittori si sono ispirati ai grandi miti del passato per la loro produzione artistica. Uno dei personaggi della mitologia che ha da sempre affascinato gli autori è il mito di Narciso. Abbiamo già parlato dell’opera di Caravaggio, mentre oggi vogliamo analizzare quella di Salvador Dalí, chiamata “La metamorfosi di Narciso”, realizzata tra il 1936 e il 1937.
Il mito racconta di questo ragazzo bellissimo, in grado di catturare l’interesse sia degli uomini che delle donne. Nessuno sembrava, però, colpire di rimando il giovane, che si limitava a lasciare una scia di cuori infranti al suo passaggio. Per via del suo cuore gelido, gli dèi decisero di punirlo, facendo sì che si innamorasse del suo stesso riflesso su uno specchio d’acqua. Incapace di toccare qualcosa di intangibile come un riflesso, Narciso morì - qui i miti divergono, chi dice che morì affogato nel tentativo di raggiungere se stesso e chi racconta invece che si lasciò morire di stenti. Nel luogo dove esalò l’ultimo respiro, nacquero dei fiori bellissimi, i narcisi, appunto.
In questo dipinto vediamo un confondersi di realtà e illusione, che tendono a mischiarsi in un turbinio di irrealtà, che riporta il tutto su un piano del sogno. La vita che diventa morte, ma anche nella morte vi è una sorta di rinascita in qualcosa di delicato e bellissimo come un fiore, anche se intorno il paesaggio è tutto fuorché ospitale per un germoglio. Quello che viene evidenziato è anche l’elemento della solitudine: Narciso ha la posa ricurva, quasi fetale, a ricordo di un grembo materno in cui si è in solitaria. Il narcisismo si traduce nel vuoto dell’oggetto inanimato che un tempo era vivo, in un tentativo di dare il respiro della vita a qualcosa che ne è privo. La ricerca costante di qualcosa che possa dare un’esperienza positiva diventa un fissare da lontano qualcosa che ci appare perfetto, come i corpi sullo sfondo. Ma quello che rimane davanti agli occhi è il cambiamento in qualcosa di immobile, fuori dal tempo, che si è lasciato abbandonare alla propria frustrazione. Per Dalì il narcisismo passa dall’immobilità alla morte, dal corpo piegato e in parte immerso nello specchio d’acqua e dello stesso che diventa pietra. Eppure la vita riesce a vincere anche nelle avversità.
“Narciso si annulla nella vertigine cosmica
dove nel più profondo canta la sirena fredda e dionisiaca della sua stessa
immagine. Il corpo di Narciso si svuota e si perde nell'abisso del suo
riflesso, come la clessidra che non verrà capovolta . Narciso tu sei così
immobile che si direbbe che tu dorma.”
Il tema del doppio e della mutazione ha sempre affascinato Dalí… o meglio, perseguitato: i suoi genitori ebbero un figlio nel 1901, chiamato sempre Salvador, che morì di meningite nel 1903, un anno prima della sua nascita. Quando aveva solo cinque anni, il futuro pittore venne portato alla tomba del fratello dai genitori che lo convinsero di esserne la reincarnazione. Questo sconvolse la mente del piccolo, che finì per impazzire. Scrisse infatti: “Ci somigliavamo come due gocce d'acqua, ma rilasciavamo riflessi diversi. Probabilmente lui era una prima versione di me, ma concepito in termini assoluti.”
Come per “Cigni che diventano elefanti”, anche in “La metamorfosi di Narciso” il riflesso è una parte fondamentale dell’opera.
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