venerdì 17 settembre 2021

#Comicità: Make Happy - Recensione

Forse su 4Muses nel corso di questo ultimo anno non abbiamo ben reso l'idea di quanto la comicità ci appassioni sinceramente.
La comicità è sottovalutata. Piace a tutti e difficilmente si rifiuta una serata passata con una birra, una buona compagnia e uno spettacolo comico che sia divertente e d'intrattenimento, ma è incredibilmente sottovalutata, così come lo sono - ovviamente - i comici.

Ovvio, c'è comicità e comicità, seguire una qualsiasi persona solo per il puro gusto dell'ilarità che quest'ultima può generare non è né sbagliato e né un crimine (abbiamo tutti il diritto di staccare la spina, ogni tanto), non dovremmo nemmeno dirlo.
Come però ormai avrete capito, a noi le cose troppo superficiali o semplici non bastano e andiamo sempre a cercare quel "qualcosa in più". Oggi, quel qualcosa in più lo abbiamo trovato in Bo Burnham e nel suo primo speciale distribuito su Netflix: Make Happy.Lo speciale, distribuito il 3 Giugno 2016 dalla sopracitata piattaforma streaming, è stato registrato l'11 Dicembre 2015 a Port Chester, New York, al Capitol Theatre, diretto da Christopher Storer e dallo stesso Bo e prodotto da Kathy Welch e Chris Scanlon.

"Parla di recitazione. Provo a fare il mio spettacolo su altre cose, ma finisco sempre a parlare di recitazione. Ho iniziato a recitare da adolescente, a livello professionale e come comico si dovrebbe parlare di quello che si conosce, e quello che ho sempre conosciuto è la recitazione."

E infatti chiamare questo speciale semplicemente uno "spettacolo comico" per noi è riduttivo.
E proprio perché il teatro e la recitazione sono due dei suoi punti forti, Bo Burnham riesce perfettamente a passare dal nonsense assoluto ai discorsi così seri da farvi quasi trasalire, e in sessanta minuti vi sembrerà che tutto si stia muovendo troppo velocemente, ma allo stesso tempo che tutto sia perfettamente in ordine e al suo posto. E se pensate che tutto ciò avvenga in modo casuale e accidentale, pensate male: in Make Happy è tutto pianificato al dettaglio, e quando diciamo tutto intendiamo dire proprio che ogni singolo movimento ha una sua tempistica.

La comicità autodenigratoria del comico-performer non risulta forzata, come invece accade spesso in molti altri casi, ma forse è anche perché vittime della sua comicità denigratoria lo sono anche i suoi spettatori.
"We're in this together" cantavano i Nine Inch Nails nel '99, dopotutto.
Nei primi sei minuti di spettacolo di risposta al "Ti amo!" lui risponde prontamente: "Smettila di intervenire, questo non è uno spettacolo partecipativo. Sto cercando di immortalare qualcosa a cui ho lavorato per molto tempo, state zitti".
Magari non risulterà offensivo, direte voi, ma è sicuramente abbastanza per far sentire qualcuno rimproverato e, se seduto in una platea di quasi tremila persone, anche un po' in imbarazzo.
Un piccolo "inconveniente" degli spettacoli comici, gli interventi indesiderati dal pubblico, ma questo in particolare getta le basi per far sì che la canzone che canterà poco più tardi, "Kill Yourself", non appesantisca affatto l'atmosfera.

"If you don't know where to go, I'll show you where to start. Kill yourself, it'll only take a minute and you'll be happy that you did it; just go over to your oven and shove your head in it.
Kill yourself, really, you should do it, there's really nothing to it, just grab a mug and chug a cup of lighter fluid.
(Se non sai dove andare, ti mostrerò da dove iniziare. Ucciditi, ci vorrà solo un attimo e sarai felice di averlo fatto; basta che ti avvicini al forno e ci infili la testa dentro.
Ucciditi, davvero, dovresti farlo, non è poi questa gran cosa, basta prendere una tazza e tracannare del liquido per accendini.)"

E il suo ultimo monologo sul palcoscenico - non vi parliamo di tutto lo spettacolo per ovvie ragioni - è, a detta sua, ispirato a un monologo di un concerto di Kanye West dello Yeezus Tour, in cui il cantante per venti minuti parla di alcuni dei suoi problemi: "la sua etnia, il potere, le sue magliette da novanta dollari non stavano vendendo molto, per lo più ha parlato di questo". Lui lo chiama "Kanye rant" (n.d.a: in inglese "rant" è traducibile con "sproloquio" o anche più grossolanamente con "discorso enfatico"), inizierà come un vero e proprio sproloquio degno del nonsense di tutto questo spettacolo, ma finirà con un discorso che di nonsense ha ben poco.
Non abbiamo problemi a ripeterlo: degno di questo spettacolo.

"My biggest problem's you. I want to please you, but I want to stay true to myself. I want to give you the night out that you deserve, but I want to say what I think and not care what you think about it.
Part of me loves you, part of me hates you. Part of me needs you, part of me fears you.
[...]
Come and watch the skinny kid with a steadily declining mental health, and laugh as he attempts to give you what he cannot give himself.
(Il mio problema più grosso siete voi. Voglio piacervi, ma voglio rimanere fedele a me stesso. Voglio darvi la serata che vi meritate, ma voglio dire quello che penso e non preoccuparmi di quello che ne pensate. Una parte di me vi ama, una parte di me vi odia. Una parte di me ha bisogno di voi, una parte di me vi odia.
[...]
Venite a guardare il ragazzo magrolino con una salute mentale in costante declino, e ridete mentre cerca di dare a voi quello che non riesce a dare a se stesso."

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