È solo una mia impressione o si sente sempre meno il periodo del Carnevale? Credo che questo sia un vero peccato, perché dopotutto fa parte delle nostre tradizioni più profonde e, credenti o meno, tornare a toccare con mano i suoi simbolismi non può farci male.
Nata come festa di preparazione al digiuno di Quaresima, il Carnevale (derivazione di carne (le)vare, cioè “levare la carne”) era quindi una festa di banchetto per dare l’addio alla carne – e a tutti gli eccessi in generale – che si dava la sera prima del mercoledì delle Ceneri, quello che oggi chiamiamo martedì grasso.
Come già raccontato negli articoli precedenti dedicati al tema, a questo i nostri antenati hanno trovato facilmente il modo di scatenarsi in ogni modo pur mantenendosi nell’anonimato: con una semplice maschera in faccia, ognuno era libero di comportarsi come voleva. Nella più sfrenata libertà cadevano le gerarchie sociali, la legalità e ogni timore o vergogna nei confronti dei giudizi, sia interni che esterni, che… divini.
Ma di questo, come accennato, abbiamo già parlato nel corso degli anni. Oggi cerchiamo di andare più in profondità, guardando al simbolismo delle maschere attraverso la storia e la letteratura.
Le maschere nella Commedia dell’Arte: identità e ruolo sociale
Contrariamente a quanto si possa pensare, durante il Carnevale la maschera – abilmente indossata per nascondersi – fa nascere dei personaggi, incarnazioni dei più primitivi archetipi, che svelano la propria identità fin dal primo istante.
Fin dai suoi albori – circa nel XV secolo – questi personaggi, tramite le loro maschere, hanno rivelato la natura più autentica dell’essere umano, avendo così: la furbizia e l’astuzia in Pulcinella; la scaltrezza e la simpatia in Arlecchino; l’intelligenza e l’amore in Colombina; l’avarizia e la gelosia in Pantalone; il pedante e (falso) sapiente del Dottore, e così via…
Le trame delle storie di cui sono protagonisti possono variare fino a oggi – anche se sono sempre meno i tetri delle marionette che incantano i bambini – ma non cambiano i loro ruoli, neanche nel sempre crescente quanto inutile e fastidioso politicamente corretto.
La letteratura e il gioco delle identità
Dalle fiabe e le favole alla letteratura, i personaggi così archetipali hanno saputo trovare un ruolo di rilievo anche nella modernità. Facile pensare alla storia di “Pinocchio” (1883) scritta da Carlo Collodi, che dopotutto nasce da burattino, ma pensiamo anche a “Il visconte dimezzato” (1952) di Italo Calvino dove il protagonista è diviso in due metà, ciascuna delle quali con un’identità differente a simboleggiare che in ognuno di noi vi è più di una maschera, e dobbiamo scegliere quotidianamente quale indossare.
Di storia simile “Il Fantasma dell’Opera” (1910) di Gaston Leroux, il cui protagonista ha il volto sfigurato e lo cela indossando una maschera, la quale simboleggia il suo conflitto interiore tra amore e vendetta.
Carnevale come sovversione dell’ordine
Come accennato prima nel periodo carnevalesco erano abolite tutte le gerarchie sociali, così come potevano essere rovesciate con servi che diventano padroni; poveri re. È quanto accade ne “Il Don Giovanni” (1665) di Molière che nella sua controversia, il protagonista non solo sfrutta il travestimento per ingannare e sedurre, ma anche per rifiutare ogni ordine imposto dalla morale del tempo.
L’opera, altamente discussa, venne infatti ritirata subito con l’accusa di empietà.
Il volto dietro la maschera
Possiamo guardare al Carnevale come un breve periodo di bagordi e libertà, ma possiamo anche prendere lo spunto per domande ben più complesse, come: “chi siamo davvero senza la nostra maschera?”. È quello che si è chiesto Pirandello e a cui ha dato risposta nel 1926 con il suo “Uno, nessuno e centomila”. L’identità è in realtà sfuggente, mutevole perché formata da molteplici ruoli che interpretiamo a seconda delle circostanze e a seconda di chi abbiamo davanti.
È come se fossimo formati da centinaia di sfumature, di ruoli, che recitiamo a seconda dei più convenienti.
Identità e gioco
Nel costante gioco della vita abbiamo provato innumerevoli identità, proprio come fa un bambino quando gioca al fare finta che… Non smettiamo mai con quella fantasia, neanche da adulti, neanche quando al mattino indossiamo la maschera del felice, del triste, del capo autoritario, del genitore amorevole, del vicino di casa schivo e dell’amico socievole… la domanda da porsi è, quindi: davvero le maschere nascondono la nostra identità come se questa fosse unica e sola o, al contrario, la svelano rivelando quella più giusta a seconda del contesto?
Nata come festa di preparazione al digiuno di Quaresima, il Carnevale (derivazione di carne (le)vare, cioè “levare la carne”) era quindi una festa di banchetto per dare l’addio alla carne – e a tutti gli eccessi in generale – che si dava la sera prima del mercoledì delle Ceneri, quello che oggi chiamiamo martedì grasso.
Come già raccontato negli articoli precedenti dedicati al tema, a questo i nostri antenati hanno trovato facilmente il modo di scatenarsi in ogni modo pur mantenendosi nell’anonimato: con una semplice maschera in faccia, ognuno era libero di comportarsi come voleva. Nella più sfrenata libertà cadevano le gerarchie sociali, la legalità e ogni timore o vergogna nei confronti dei giudizi, sia interni che esterni, che… divini.
Ma di questo, come accennato, abbiamo già parlato nel corso degli anni. Oggi cerchiamo di andare più in profondità, guardando al simbolismo delle maschere attraverso la storia e la letteratura.
Le maschere nella Commedia dell’Arte: identità e ruolo sociale
Contrariamente a quanto si possa pensare, durante il Carnevale la maschera – abilmente indossata per nascondersi – fa nascere dei personaggi, incarnazioni dei più primitivi archetipi, che svelano la propria identità fin dal primo istante.
Fin dai suoi albori – circa nel XV secolo – questi personaggi, tramite le loro maschere, hanno rivelato la natura più autentica dell’essere umano, avendo così: la furbizia e l’astuzia in Pulcinella; la scaltrezza e la simpatia in Arlecchino; l’intelligenza e l’amore in Colombina; l’avarizia e la gelosia in Pantalone; il pedante e (falso) sapiente del Dottore, e così via…
Le trame delle storie di cui sono protagonisti possono variare fino a oggi – anche se sono sempre meno i tetri delle marionette che incantano i bambini – ma non cambiano i loro ruoli, neanche nel sempre crescente quanto inutile e fastidioso politicamente corretto.
La letteratura e il gioco delle identità
Dalle fiabe e le favole alla letteratura, i personaggi così archetipali hanno saputo trovare un ruolo di rilievo anche nella modernità. Facile pensare alla storia di “Pinocchio” (1883) scritta da Carlo Collodi, che dopotutto nasce da burattino, ma pensiamo anche a “Il visconte dimezzato” (1952) di Italo Calvino dove il protagonista è diviso in due metà, ciascuna delle quali con un’identità differente a simboleggiare che in ognuno di noi vi è più di una maschera, e dobbiamo scegliere quotidianamente quale indossare.
Di storia simile “Il Fantasma dell’Opera” (1910) di Gaston Leroux, il cui protagonista ha il volto sfigurato e lo cela indossando una maschera, la quale simboleggia il suo conflitto interiore tra amore e vendetta.
Carnevale come sovversione dell’ordine
Come accennato prima nel periodo carnevalesco erano abolite tutte le gerarchie sociali, così come potevano essere rovesciate con servi che diventano padroni; poveri re. È quanto accade ne “Il Don Giovanni” (1665) di Molière che nella sua controversia, il protagonista non solo sfrutta il travestimento per ingannare e sedurre, ma anche per rifiutare ogni ordine imposto dalla morale del tempo.
L’opera, altamente discussa, venne infatti ritirata subito con l’accusa di empietà.
Il volto dietro la maschera
Possiamo guardare al Carnevale come un breve periodo di bagordi e libertà, ma possiamo anche prendere lo spunto per domande ben più complesse, come: “chi siamo davvero senza la nostra maschera?”. È quello che si è chiesto Pirandello e a cui ha dato risposta nel 1926 con il suo “Uno, nessuno e centomila”. L’identità è in realtà sfuggente, mutevole perché formata da molteplici ruoli che interpretiamo a seconda delle circostanze e a seconda di chi abbiamo davanti.
È come se fossimo formati da centinaia di sfumature, di ruoli, che recitiamo a seconda dei più convenienti.
Identità e gioco
Nel costante gioco della vita abbiamo provato innumerevoli identità, proprio come fa un bambino quando gioca al fare finta che… Non smettiamo mai con quella fantasia, neanche da adulti, neanche quando al mattino indossiamo la maschera del felice, del triste, del capo autoritario, del genitore amorevole, del vicino di casa schivo e dell’amico socievole… la domanda da porsi è, quindi: davvero le maschere nascondono la nostra identità come se questa fosse unica e sola o, al contrario, la svelano rivelando quella più giusta a seconda del contesto?
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