Sua madre le aveva sempre detto che l’amore era un concetto così utopistico che poteva abbindolare solo le persone con scarsi sogni realizzabili. “Un giardiniere è ovvio che desideri una donna d’amare, non potendo desiderare altro” e lei si era così convinta che la vita di un giardiniere dovesse essere davvero atroce, se considerava la donna che aveva al suo fianco come il massimo a cui poteva aspirare. In più la moglie del signor Corsetti non era questo gran spettacolo né sotto il punto di vista esteriore, meno che mai interiore. Imprecava e sorrideva maliziosa ogni volta che Carola le passava accanto, ancora oggi era percossa dai brividi ogni volta che pensava a quella donna.
Così, certa che l’amore fosse un sentimento da associare solo al basso rango, o ai romanzetti rosa che la appassionavano fin dall’adolescenza, aveva accettato la proposta del marchese Arindo degli Scalchi.
In un decennio si era ritrovata madre di cinque figli: tre maschi e due femmine, venuti in questo esatto ordine. Carola aveva capito fin da subito che Arindo non era solito entusiasmarsi per questioni che poco c’entravano con la politica, l’arte e le scienze, eppure dopo i suoi tre parti sembrava un bambino a cui erano stati promessi interi barattoli di caramelle. Ma c’erano volute le ultime due nascite per capire che la felicità del marito non era dovuta ai sorrisini dei neonati, bensì proprio ad Alarico, Ottaviano e Guglielmo. Insomma: erano maschi.
In realtà poteva capirlo: i primi tre erano sì la vita di Carola, ma Mafalda e Vittoriana erano tutto quello che faceva di lei una madre e finalmente poteva insegnare loro come vivere. Le due bambine avevano i loro istitutori, era chiaro, e Alarico sorprese famiglia e società del tempo rendendosi fermo nella sua decisione: persino le femmine avrebbero ricevuto la stessa identica istruzione dei maschi. E nonostante le numerose figure di riferimento tra balie, governanti e vari insegnanti, Carola era riuscita a divenire per le figlie fonte di ispirazione, almeno fino all’adolescenza, poi avevano deciso di proseguire con gli studi, rendersi indipendenti e abbandonare i privilegi di una nobiltà decaduta.
In realtà poteva capirlo: i primi tre erano sì la vita di Carola, ma Mafalda e Vittoriana erano tutto quello che faceva di lei una madre e finalmente poteva insegnare loro come vivere. Le due bambine avevano i loro istitutori, era chiaro, e Alarico sorprese famiglia e società del tempo rendendosi fermo nella sua decisione: persino le femmine avrebbero ricevuto la stessa identica istruzione dei maschi. E nonostante le numerose figure di riferimento tra balie, governanti e vari insegnanti, Carola era riuscita a divenire per le figlie fonte di ispirazione, almeno fino all’adolescenza, poi avevano deciso di proseguire con gli studi, rendersi indipendenti e abbandonare i privilegi di una nobiltà decaduta.
I tempi cambiano in fretta e per una madre è sempre dura rimanere al passo con essi, dare ai propri figli più di quanto si sia ricevuto pur mantenendo salde le proprie convinzioni. Specchiandosi in loro ci si rende tristemente conto delle proprie scelte sbagliate e i rancori che bussavano timidamente alle porte della coscienza quando ogni tanto si fermava a riflettere, con l’età adulta dei figli, con le loro vite avviate e lontane da chi li ha messi al mondo, diventano un frastuono incontrollabile, delle urla spazientite che pretendono l’ascolto.
Carola aveva sempre evitato di dare corda a quelle voci indisciplinate, zittendole con infiniti Padre Nostro e altrettante Ave Maria, eppure in quel nuvoloso ma caldo pomeriggio di novembre, con il sole al suo tramonto invisibile dietro una coltre di grigio, con lo stomaco che si stiracchiava svegliandosi per l’ora del tè, chiese ad Arindo quello che in cinquant’anni di matrimonio non aveva mai osato chiedere:
«Arindo caro, ma tu mi hai mai amata?»
L’uomo aveva rivolto un’occhiata alla moglie, intenta a leggere il nuovo romanzo rosa fresco di stampa in uno stato di finto disinteresse. I baffi argentei di lui si erano allargati in un dolce sorriso, mentre posava gli occhiali sul tavolino e dava un’aspirata alla pipa.
«Quando ero un ragazzo ero innamorato di una donna, di cui ora, sinceramente, mi sfugge il nome.» si grattò la testa macchiata, come se il gesto potesse spazzare via la polvere dell’età. «Era bellissima, divertente, anche ostinata, a dir la verità. Eravamo di due mondi differenti, lei lavorava vicino all’Università e mi prendeva in giro perché ai suoi occhi risultavo tutto impettito. Ecco, ricordo benissimo come mi sentivo davanti a lei. Turbinavo tutto dentro.»
I due anziani sposi si misero a ridere mentre Arindo imitava con il dito il movimento di un mulinello.
«L’amore è un sentimento, mia cara, e come tale lo proviamo più volte nella nostra vita, anche per più persone… in contemporanea, persino. Ti ho amata quando ti ho conosciuta, quando ti ho sposata e quanto hai dato alla luce i nostri figli. Ti ho amata quando hai dato prova di coraggio durante la guerra, quando hai aiutato gli altri senza chiedere nulla in cambio, quando mi hai tenuto nascosti i tuoi intrallazzi per non farmi soffrire e continuo ad amarti quando ti vedo tornare ventenne ogni volta che acquisti e leggi un nuovo romanzo.»
«Non hai mai rimpianto di non esserti sposato con l’altra donna?»
«Anche i rimpianti fanno parte dell’animo umano, mia cara. Certo che ho pensato come sarebbe stata la mia vita se fossi andato contro la decisione di famiglia, ma a che serve? I rimpianti sono per chi non ama il proprio presente e io amo questa casa, i nostri figli, i nostri nipoti, quello che abbiamo costruito, te. Perché mi fai queste domande? Sono stato un pessimo marito?»
«No, al contrario. Quando ero bambina, però, mia madre mi diceva che l’amore era un’utopia a cui potevano credere solo le persone che non sapevano desiderare altro. Secondo lei il prestigio riusciva ad acquietare ogni altro capriccio, quindi chi poco aveva, si buttava in quelli che considerava matrimoni d’amore per cercare di sopravvivere.»
«E tu le hai mai creduto?» domandò Arindo cercando di trattenere le risate, per non sminuire le convinzioni della moglie
«No, sì… insomma, non ho avuto molte scelte: mi hanno detto di sposarti e l’ho fatto. Prima di te non avevo conosciuto uomini della mia età, se non i miei fratelli e i miei cugini, s’intende.»
«Ma hai avuto i tuoi romanzi. Conosci lo stesso le altre esperienze. Cosa ne pensi, dunque?»
Carola aveva sempre evitato di dare corda a quelle voci indisciplinate, zittendole con infiniti Padre Nostro e altrettante Ave Maria, eppure in quel nuvoloso ma caldo pomeriggio di novembre, con il sole al suo tramonto invisibile dietro una coltre di grigio, con lo stomaco che si stiracchiava svegliandosi per l’ora del tè, chiese ad Arindo quello che in cinquant’anni di matrimonio non aveva mai osato chiedere:
«Arindo caro, ma tu mi hai mai amata?»
L’uomo aveva rivolto un’occhiata alla moglie, intenta a leggere il nuovo romanzo rosa fresco di stampa in uno stato di finto disinteresse. I baffi argentei di lui si erano allargati in un dolce sorriso, mentre posava gli occhiali sul tavolino e dava un’aspirata alla pipa.
«Quando ero un ragazzo ero innamorato di una donna, di cui ora, sinceramente, mi sfugge il nome.» si grattò la testa macchiata, come se il gesto potesse spazzare via la polvere dell’età. «Era bellissima, divertente, anche ostinata, a dir la verità. Eravamo di due mondi differenti, lei lavorava vicino all’Università e mi prendeva in giro perché ai suoi occhi risultavo tutto impettito. Ecco, ricordo benissimo come mi sentivo davanti a lei. Turbinavo tutto dentro.»
I due anziani sposi si misero a ridere mentre Arindo imitava con il dito il movimento di un mulinello.
«L’amore è un sentimento, mia cara, e come tale lo proviamo più volte nella nostra vita, anche per più persone… in contemporanea, persino. Ti ho amata quando ti ho conosciuta, quando ti ho sposata e quanto hai dato alla luce i nostri figli. Ti ho amata quando hai dato prova di coraggio durante la guerra, quando hai aiutato gli altri senza chiedere nulla in cambio, quando mi hai tenuto nascosti i tuoi intrallazzi per non farmi soffrire e continuo ad amarti quando ti vedo tornare ventenne ogni volta che acquisti e leggi un nuovo romanzo.»
«Non hai mai rimpianto di non esserti sposato con l’altra donna?»
«Anche i rimpianti fanno parte dell’animo umano, mia cara. Certo che ho pensato come sarebbe stata la mia vita se fossi andato contro la decisione di famiglia, ma a che serve? I rimpianti sono per chi non ama il proprio presente e io amo questa casa, i nostri figli, i nostri nipoti, quello che abbiamo costruito, te. Perché mi fai queste domande? Sono stato un pessimo marito?»
«No, al contrario. Quando ero bambina, però, mia madre mi diceva che l’amore era un’utopia a cui potevano credere solo le persone che non sapevano desiderare altro. Secondo lei il prestigio riusciva ad acquietare ogni altro capriccio, quindi chi poco aveva, si buttava in quelli che considerava matrimoni d’amore per cercare di sopravvivere.»
«E tu le hai mai creduto?» domandò Arindo cercando di trattenere le risate, per non sminuire le convinzioni della moglie
«No, sì… insomma, non ho avuto molte scelte: mi hanno detto di sposarti e l’ho fatto. Prima di te non avevo conosciuto uomini della mia età, se non i miei fratelli e i miei cugini, s’intende.»
«Ma hai avuto i tuoi romanzi. Conosci lo stesso le altre esperienze. Cosa ne pensi, dunque?»
Carola chiuse il libro, fissando il marito e mettendo in ordine i suoi pensieri per ponderarli.
«L’amore è quel turbinio di cui parlavi e spesso è difficile, se non impossibile, controllarlo. Ti può rovinare la vita, addirittura te la può far perdere, se consideriamo le tragedie. Noi eravamo giovani e probabilmente non avremmo mai potuto capire a quell’età cosa volesse dire, ma sono sicura che se mia madre mi avesse lasciata libera e ti avessi incontrato, mi sarei comunque innamorata di te.»
«Dunque…»
«Dunque.» Carola fece un sorriso come per scusarsi dell’interruzione. «Credo che fosse mia madre, pace all’anima sua, a non sapere cosa fosse l’amore, o forse lo aveva conosciuto e perso, quindi lo ricercava nell’accumulo di altro, nel luccichio e nel bagliore dell’essere ammirata.»
«Tua madre era senz’altro una donna che sapeva farsi notare ma che non conosceva nient’altro che i suoi giudizi.»
«Mi trovi d’accordo».
E ripresero in silenzio le loro attività. Separati ma insieme.
«L’amore è quel turbinio di cui parlavi e spesso è difficile, se non impossibile, controllarlo. Ti può rovinare la vita, addirittura te la può far perdere, se consideriamo le tragedie. Noi eravamo giovani e probabilmente non avremmo mai potuto capire a quell’età cosa volesse dire, ma sono sicura che se mia madre mi avesse lasciata libera e ti avessi incontrato, mi sarei comunque innamorata di te.»
«Dunque…»
«Dunque.» Carola fece un sorriso come per scusarsi dell’interruzione. «Credo che fosse mia madre, pace all’anima sua, a non sapere cosa fosse l’amore, o forse lo aveva conosciuto e perso, quindi lo ricercava nell’accumulo di altro, nel luccichio e nel bagliore dell’essere ammirata.»
«Tua madre era senz’altro una donna che sapeva farsi notare ma che non conosceva nient’altro che i suoi giudizi.»
«Mi trovi d’accordo».
E ripresero in silenzio le loro attività. Separati ma insieme.
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