Il 28 novembre ha visto l’uscita del noir psicologico “Potrebbe far male”, secondo romanzo della scrittrice americana Stephanie Wrobel.
Anche se abbiamo avuto il piacere di averlo in anteprima grazie alla Fazi Editore, considerando il genere abbiamo deciso di leggerlo con molta calma, proprio per non saltare a conclusioni troppo affrettate.
Grazie a questo, abbiamo potuto entrare nella psiche dei protagonisti, chiedendoci: “Siamo davvero salvi da un plagio mentale? Cosa ci accadrebbe se avessimo davanti chi conosce tutti i nostri oscuri segreti e sappia manipolarli a proprio vantaggio?”
Ed ecco che la nostra freddezza ha cominciato a vacillare. È facile entrare in una setta, e ancora più facile diventarne un tutt’uno.
Natalie Collins vive per lavorare, non ha rapporti umani stretti se non forse con sua sorella Kit ma quest’ultima ha smesso di parlarle da mesi. O meglio: la piccola Kit, per riprendersi dal lutto della madre, ha confessato alla sorella di volersi prendere sei mesi lontana da tutto e tutti, andando a Wisewood: un centro fuori dal mondo con l’automiglioramento come unico obiettivo.
Il nome è poco conosciuto, trovare notizie a riguardo è davvero difficile, persino Google tace, ma secondo chiunque ci sia andato è un vero e proprio toccasana per la propria elevazione interiore. Chi ne può portare testimonianza giura di essere divenuto un’altra persona, senza più paure a tenerlo prigioniero. Eppure nessuno sa cosa accada veramente lì dentro, perché tutti hanno firmato un contratto di riservatezza. Meno che mai si sa chi sia la mente dietro Wisewood e sembra che il soggiorno sia destinato a un’élite.
Nat è stata fin da subito scettica a riguardo di tutto ciò, soprattutto perché nessuno dà niente per niente, e l’idea di stare sei mesi senza sentire sua sorella (la regola principale di questo soggiorno è proprio il divieto di contattare l’esterno) non la fa di certo calmare. Quando poi le arriva una email minatoria proprio dal Wisewood, tutti i suoi allarmi interiori suonano all’impazzata.
Nonostante sia una schiava del lavoro e della sua routine, ha solo un pensiero in testa: salvare sua sorella.
Ma come e a quale prezzo?
Ovviamente non proseguiamo per non farvi spoiler.
“Potrebbe far male” indaga sul sentimento della paura, su come esso si impossessi di noi spesso e volentieri proibendoci di andare avanti con la nostra vita. Non sfruttiamo il nostro potenziale perché abbiamo timore di fallire, la mente crea su di noi scenari apocalittici appagandosi quando continuiamo a preferire la comfort zone.
Anche noi siamo i paladini dell’andare oltre la sfera che ci fa sentire al sicuro, ma sappiamo anche che è necessario farlo con i propri tempi. Tirare troppo la corda, difatti, porta alla follia.
Il canto di Ulisse nella Divina Commedia spiega ulteriormente questo concetto.
Ciò che abbiamo compreso dalla lettura, però, è che non è necessario rinchiudersi in un eremo irraggiungibile, perché possiamo vivere anche in una setta creata dalla nostra stessa mente. Quanti dei nostri modi di pensare crediamo certezze incrollabili? A quali di queste siamo disposti a rinunciare? Quante volte organizziamo la nostra giornata in base al dovere? Quante volte ci concediamo qualcosa solo per puro piacere, e quante volte, invece, ci proibiamo sfizzi o gioie perché ci consideriamo non meritevoli?
Ecco che se avessimo la possibilità di esternare certi limiti nel mondo materiale e li facessimo incarnare, avremmo una persona che ci tiene sotto scacco e alla quale non riusciremmo a dire no, proprio perché siamo noi per primi a non voler dire di no a certi pensieri.
La vera libertà consiste nel lasciare andare il controllo, nell’accettare quello che viene senza opporsi, non di certo nel non uscire più di casa e conformarsi con chi la pensa esattamente come noi.
È estremamente vero che siamo la somma delle cinque persone con le quali stiamo più in contatto, ma è anche vero che per mantenerci nell’equilibrio e non cedere all’estremizzazione, è necessario mantenere il più variegata possibile la propria cerchia.
La scrittura della Wrobel è sicuramente chiara, non si perde in descrizioni o parolone che non avrebbero fatto in modo di mantenere incollato il lettore.
L’inizio potrebbe risultare un po’ lento, ma è estremamente necessario proprio per caratterizzare al meglio i personaggi grigi. Nessuno di loro, infatti, è buono o cattivo; ogni azione è abilmente spiegata dal passato che hanno avuto e del modo in cui lo hanno affrontato per potersene liberare definitivamente.
Nella realtà materiale siamo tutti, allo stesso modo, vittime e carnefici, la differenza sta nell’esserne o meno consapevoli.
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