Dato che oggi Burton si trova a Roma, abbiamo deciso di parlare di una sua produzione particolare, risalente al 2012, ovvero “Dark Shadows”. La storia inizia nel 1760 quando la famiglia Collins parte da Liverpool alla volta del Maine, dove decide di mettere radici. Fondano Collinwood, il loro maniero, e danno vita a una azienda ittica. Barnabas (Johnny Depp), l’erede dei Collins, seduce e abbandona una strega, Angelique (Eva Green), e si innamora perdutamente Josette (Bella Heathcote). Logorata dalla gelosia, la strega fa suicidare l’amata di Barnabas e al ragazzo riserva un destino peggiore: lo trasforma in vampiro, così che il suo tormento sia eterno.
Sono passati ben nove anni, ma non vi scriveremo come va a finire la storia, preferiamo parlare della scelta compiuta dal regista, Tim Burton appunto. La pellicola mescola il grottesco al demenziale, dove l’horror del vampiro, del sangue e di tutto ciò che fa parte del genere si unisce a una sorta di commedia degli equivoci del classico “viaggiatore del tempo” che trova a doversi immergere in una società nuova, dove tutto è cambiato. Nel film, infatti, il vampiro Barnabas scambia l’insegna luminosa del McDonald’s per il marchio di Mefistofene o i fari delle auto per gli occhi di Satana. Certe scene sono il frutto della fantasia più sfrenata di Burton stesso, ma lo spettatore può godersi pienamente il film con qualche risata che non guasta mai. L’opera, che inserisce anche la storia d’amore nel contesto horror, si caratterizza per essere un prodotto piacevole, ma che non eccelle rispetto ad altri dello stesso genere e dello stesso autore.
Una pecca nell’opera di Burton è sicuramente l’eccesso di “americanate”, ovvero deflagrazioni incredibili e personaggi soprannaturali che sembrano buttati un po’ al caso. Diversamente dal solito, non viene più di tanto approfondita la psicologia dei personaggi che sembrano muoversi sulla scena seguendo uno schema puntato puramente allo strappare una risata allo spettatore. Però Burton parla anche di amore malato, di quando questo sentimento diventa un’ossessione, passato da infatuazione a tossicità. Angelique, infatti, non è innamorata di Barnabas, anela soltanto a possederlo, come una bambina a cui è stato negato un giocattolo. Batte i piedi, diviene malvagia e cerca in tutti i modi di far terra bruciata intorno all’oggetto del suo desiderio. Un “mio o di nessun altro” che troppe volte abbiamo sentito ai telegiornali con il tragico epilogo.
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