La Warner Bros. ha mantenuto sempre alti gli standard della sua animazione, creando serie di successo che hanno accompagnato l’infanzia di chi va dai venticinque anni in poi. Chi non ha nella propria memoria un coniglio dai toni del grigio che sgranocchiando la propria carota chiede “che succede amico?” Beh, noi di 4Muses crediamo che sia abbastanza comune a tutti, esattamente come ogni singolo riferimento cinematografico inserito all’interno del nuovo “Space Jam”.
Il primo film, che aveva come protagonista Michael Jordan (e la comparsata di altri attori famosi come Bill Murray), è uscito nel lontano 1997. Sono, dunque, passati 24 anni e la trama non è estremamente diversa da quella di allora, è stata semplicemente resa più "fresca". Se come guest star negli anni Novanta abbiamo avuto Michal Jordan, un’icona non solo sportiva, ma osiamo dire "pop", qui abbiamo LeBron James. Forse ai non fan del basket è un po’ meno noto, per altri invece potrebbe esser considerato quasi un fratello, ma di certo questa scelta è stata meno potente di quanto fatto in passato. Del resto, però, si tratta di un sequel, quindi crediamo che non sia di certo rischiosa come opzione.
Essendo un sequel, infatti, siamo davanti a un nome già ben conosciuto dai fan e dunque la fetta di pubblico che si approccia alla sala è quasi data statisticamente come certa. L’effetto revival gioca a proprio favore, del resto la cinematografia degli ultimi due anni almeno che va proprio rivangando gli anni ’80 del secolo scorso.
Se, da una parte, è necessario, dunque, fare il confronto con il precedente volume, dall’altra abbiamo un buon prodotto che riesce ad avere vita propria al di là di ciò che è stato. Il che non è da sottovalutare, ma la contrario gli conferisce un maggior potere narrativo. È facile, infatti, fare delle sciocchezze con un sequel tradendo anche ciò che erano le intenzioni del passato per poter cercare di rincorrere la novità. “La nuova leggenda” è un film che riesce a fare della propria narrativa un nuovo arco autoconclusivo che lega diverse generazioni al suo interno.
Una nuova icona.
Un nuovo mondo.
Un’era, quella digitale, da poter sfruttare a proprio piacimento.
Space Jam: New Legends, così, sfrutta le nuove dinamiche social e crea la sua mitologia e il suo mondo citando e ripescandolo dallo storico dei database della Warner stessa.
La cosa particolare è, soprattutto, chi ha lavorato all’animazione. Se non foste a conoscenza di un particolare dettaglio, in alcuni film di animazione (specialmente Disney e Pixar) c’è una firma che indica la provenienza degli animatori da una specifica classe scolastica, la A113. Questo è un codice che, in genere, indica gli studenti di quell’aula ed è un famosissimo easter egg nei film della major. Non a caso, infatti, gli accrediti ufficiali all’animazione sono stati dati alla Industrial Light & Magic, la casa di produzione animata di George Lucas. Quindi un po’, sotto sotto, lo zampino della Pixar è facilmente riconoscibile e vi consigliamo di prestare attenzione alla versione animata di Al G Ritmo.
Parlando d'animazione è quasi d'obbligo fare un piccolo appunto su quella che è stata la scelta grafica adoperata per il design dei personaggi. Abbiamo semplicemente trovato divertente il fatto che Lola Bunny si sia posta come guerriera e anche il contesto in cui era stata inserita: quello di Wonder Woman. Il tipo di sensualità che le è stata attribuita è diverso, ma non per questo inesistente. Non è una coniglietta che si avvicina alla parte maschile, al contrario ha molte delle caratteristiche femminili che da sempre avuto, come la cura per il suo amato Bugs. Non sculetta, ma è davvero qualcosa di così tanto negativo? Forse ogni tanto è necessario ricordare che esistono diversi tipi di sessualità e diverse sfaccettature da poter metter in risalto.
Ma passiamo alla parte succulenta di questo film. In questo sequel viene dato un maggior peso alla versione padre dell’atleta e tutto il film si muove molto sullo scontro generazionale. Un genitore, LeBron, che cerca di spronare il figlio a fare di meglio, a splendere e a seguire un po’ le sue orme perché lui ne vede il potenziale. Un padre che, però, non ascolta la reale vocazione del ragazzino, ma appunto lo spinge verso qualcosa che conosce, qualcosa che gli è più familiare. Suo figlio è un nerd, gli piacciono i videogiochi, gli piace programmarli e per la sua strada vede qualcosa di diverso dalla pallacanestro… affine, ma giocata secondo le regole del divertimento.
Sarà, infatti, la chiave Looney ad essere il punto risolutivo della trama. LeBron, sostanzialmente, ha trattato i suoi compagni di sfida allo stesso identico modo con cui stava trattando i figli: da coach. Da una parte sembrerebbe ovvio, sono i suoi compagni di squadra e dovrebbe allenarli ad un gioco che crede di conoscere bene. Ma la sfida non è su un campo di basket normale, bensì su quello creato digitalmente proprio dal figlio. Valgono i punti stile, non i fondamentali; si gioca cercando di ottenere i bonus, non in terzo tempo. Si gioca cercando di divertirsi per poter cercare di ricordare quell'infanzia che a volte viene spazzata via davanti alla coltivazione di un talento.
Questa pellicola, in questo modo, è un viaggio per adulti. Un sogno fatto da chi nel '97 ha visto il film al cinema e che oggi più che mai dovrebbe imparare ad ascoltare la vocazione del proprio figlio anche se questa deriva da un mondo che non possono comprendere appieno.
Una lezione, dunque, per una generazione passata a una recente; a un tempo che adesso ripete alle nuove leve quanto non sappiano come muovere i propri passi da soli.
Ricordare come si è stati quando si era figli potrebbe essere utile per poter cercare di conoscere la propria progenie.
Ricordare come si è stati quando si era figli potrebbe essere utile per poter cercare di conoscere la propria progenie.
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