I personaggi femminili, infatti, hanno avuto nel corso del tempo sempre più spazio, passando da compagne a protagoniste con una frequenza sempre maggiore. Ma non sempre le loro caratterizzazioni riescono a convincere a pieno, in quanto si resta ancorati a quei ruoli fin troppo standardizzati. La settimana scorsa, ad esempio, avevamo parlato di Sloane, di Holidate, e avevamo evidenziato come con lei si potessero prendere in considerazioni degli avanzamenti sulla sua caratterizzazione, soprattutto in relazione al genere di appartenenza di quel film.
Nelle sette puntate che compongono la serie tv di Netflix, The Queen’s Gambit, riusciamo a vedere una donna a tutto tondo. Un personaggio che non è solo protagonista ed eroe della serie, ma ha anche delle sfumature, delle zone di ombra che vengono messe in risalto anche in relazione alle altre donne che l’accompagnano.
Nei drammi siamo soliti vedere delle donne che cercano la loro dimensione nel mondo e molto spesso la trovano solo tra le braccia di un uomo. Quasi come se si avvalorasse la tesi Freudiana sul complesso di Elettra, cioè: le donne cercano di trovare negli uomini una parvenza paterna per potersi innamorare di quelle caratteristiche che o non hanno avuto o che hanno fin troppo presenti. Beth non ha avuto un padre, una figura per lo più incerta, visto che forse è una figlia illegittima nata da una relazione extra-coniugale. Ha trovato degli uomini, tra cui il suo maestro di scacchi, di cui però non ha davvero necessità. Il custode dell’orfanotrofio in cui sta, ad esempio, le insegna si a giocare a scacchi, le mette davanti si i suoi difetti; eppure non è quella figura perfettamente associabile all’idea di padre. È un mezzo per un fine. La Harmon è interessata a conoscere il gioco degli scacchi, lui glielo può insegnare e, nonostante nel corso del tempo, vi sarà gratitudine e affezione non si istaurerà mai davvero un rapporto padre-figlia.
Allo stesso modo lei scopre il piacere del controllo degli scacchi, mentre le sue pulsioni sessuali iniziano a sbocciare. Del resto ha solo otto anni quando afferra per la prima volta un pedone tra le mani. E, in tal senso, è interessante notare come le venga per la prima volta il ciclo proprio quando vincerà il suo primo torneo. Giorno in cui troverà anche la persona di cui sarà innamorata per lungo tempo.
Beth si potrebbe definire come sapiosessuale e ciò lo si vede anche nell’attrazione che le smuove i lombi.
Ogni singolo personaggio intorno a lei costituisce una strategica mossa in grado di definire chi lei sia. E se da una parte abbiamo il rapporto con gli uomini – rapporto altalenante, si intende –, dall’altra abbiamo quello con le donne della sua vita. Finalmente non abbiamo un personaggio femminile che sente la necessità di dover fare un’Eva contro Eva. Le donne che troverà al suo fianco sono donne complici, tranne la madre che per qualche assurdo motivo crede che sia meglio togliere la vita ad entrambe piuttosto che provare a continuare a crescerla. Certo la madre con buona probabilità aveva qualche problema mentale, ma non c’è dato saperlo con certezza perché possiamo far solo affidamento sui ricordi di Elizabeth stessa.
Il rapporto con la madre adottiva è qualcosa di particolare. La donna è sintomo della psicologia degli anni ’60, periodo nella quale le donne erano concentrate sull’apparenza. La casa, nella quale Beth viene accolta, è una bomboniera fatta di carta da paratati e fronzoli; quasi un’abitazione per le bambole di altri tempi. Il marito della donna è assente, lontano per poter portare lo stipendio a casa. È un matrimonio sulla carta quello nella quale la giovane ragazza si troverà a vivere e ciò farò si che tra le due donne si crei una bella sinergia. Loro sono compagne, sono cura l’una per l’altra; una cura che comunque viene accompagnata da alcol e psicofarmaci.
Come, però, già sottolineato siamo davanti a un personaggio con molte ombre. Un’oscurità, quella di Beth, non immediatamente manifesta, ma nascosta sotto la coltre delle dipendenze. Elemento che ci evidenzia quanto in realtà la malattia della madre sia reale e che geneticamente sia stata trasmessa alla giovane.
Genio e follia con lei sono la stessa cosa ed è particolare come ciò lo si vede in diversi elementi portati in scena. Beth si inserisce in un ambiente prettamente maschile, lei è troppo alla moda per poter essere davvero brava nel gioco. I suoi vestiti, però, si evolvono con lei e crescono insieme alla consapevolezza che lei ha di sé. Sa di piacere, sa di essere attraente, e molto spesso i suoi sguardi sono disarmanti sia per lo spettatore – grazie ai primi piani – sia per i giocatori con la quale si sta scontrando. È donna e non ha paura di mostrarlo, anzi lo evidenzia segnando il suo corpo con quanti più elementi sia possibile.
Si potrebbe dire molto altro ancora su questo straordinario personaggio, del resto "La Regina degli Scacchi" ha riscosso un immediato successo nel suo pubblico e se lo ha fatto è proprio merito della sua protagonista. Una donna mostrata nel bene e nel male che non deve ne compatita ne capita, ma solo osservata e assimilata. Una donna sensuale che non nasconde il fatto che le piaccia fare sesso e che lo vive anche con una tale freschezza che a volte andrebbe più spesso fatta nostra.
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