Le nuove generazioni non sono a conoscenza della leggenda di Rabbi David e Samuele. In realtà non ne eravamo al corrente neanche noi, fino a quando l’abbiamo appresa casualmente – crediamo fermamente che il caso non esista, per noi è solo una parola che utilizziamo quando non abbiamo ancora la comprensione del perché delle cose - girando per il Ghetto Ebraico di Roma.
È tra queste strade, tra i suoi vicoli, che inizia la storia di Rabbi David e Samuele. I due erano uomini completamente diversi tra di loro sia nell’aspetto fisico che mentale: il primo era esile, di bassa statura, ed estremamente colto; il secondo era forte e umile. Non aveva mai studiato, così il suo linguaggio era scarno e semplice. Eppure li univa una forte amicizia, nata dal potente dono della fede che entrambi avevano.
Rabbi David aveva passato l’intera esistenza a cercare di apprendere il Segreto dei Segreti. Meditava e pregava a lungo, tanto che il suo viso si illuminava e inondava di felicità chiunque gli stesse attorno. Samuele pregava tanto e quanto Rabbi David, e nonostante la poca cultura sembrava avesse un contatto diretto con Dio. I due parlavano per molto tempo, e spesso Samuele riusciva a risolvere i problemi più complicati di Rabbi David con una semplice frase o parola.
Una volta Rabbi David gli chiese: «Nel Talmùd è scritto che quando il bambino è nel corpo della madre una luce discende su di lui e gli splende sul capo ed esso apprende tutta la Torah, la Santa Legge. Quando è il momento di uscire all’aria del mondo, viene un angelo e tocca lievemente il bambino sulla bocca ed egli dimentica tutto. Non riesco a capire questo passo… Perché bisogna imparare prima tutto, per poi dimenticare tutto?»
Samuele gli rispose: «Certo a prima vista appare strano. Ma penso che il Talmùd voglia dire questo: se non ci fossero le dimenticanze l’uomo penserebbe continuamente all’ora della propria morte e non farebbe più niente: non costruirebbe case, non si sposerebbe e non intraprenderebbe nulla… Per questo l’Eterno ha posto la dimenticanza.»
Le chiacchierate andarono avanti per giorni, mesi e anni, fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Con l’occupazione tedesca, le strade dei due si divisero per sempre.
Samuele, seppur non avesse fatto nulla di male, venne catturato e portato nella prigione tedesca, e sede della Gestapo, a Via Tasso. Da lì, il 24 marzo 1944, fu trucidato, assieme ad altre trecentotrentacinque persone, nell’Eccidio delle Fosse Ardeatine.
Rabbi David, invece, riuscì ad aiutare ogni cittadino del ghetto senza avere mai problemi con la giustizia. Dava da mangiare agli affamati, curava i malati, portava provviste a chi si nascondeva presso altre famiglie romane… Non si sa bene come fosse riuscito a farlo, eppure lo fece. Passava per le strade affollate di militari tedeschi senza che nessuno di loro si accorgesse della sua esistenza.
Viene da chiedersi perché per i due amici, così vicini nella fede e nel sentimento, Dio abbia assegnato un destino così diverso. In molti articoli vi ricordiamo che “gli altri siamo noi” e che l’altro è un nostro specchio. Così, forse, agli occhi di Dio, i due sentieri sono sembrati uno solo.
Mentre uno pativa il dolore, l’altro cercava di placarlo negli altri. Mentre uno era imprigionato e sotto controllo, l’altro riusciva a non essere scoperto. Mentre uno era morto, l’altro portava a termine il suo compito, senza essere mai visto.
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