giovedì 5 novembre 2020

#Libri: Il Treno dei Bambini

Ogni libro lascia qualcosa al lettore, qualcosa che porterà per sempre dentro di sé. È il pezzo di una storia in cui ci siamo sentiti spettatori o protagonisti, se la scrittura lo prevedeva e se le emozioni descritte erano forti e ben chiare. Il libro che questa volta abbiamo recensito è “Il treno dei bambini”, un romanzo di Viola Ardone.

La storia è ambientata nella Napoli del dopoguerra, del 1946, con la povertà dilagante e le famiglie distrutte dalla miseria. Il protoginista è Amerigo Speranza, un bimbo di appena sette anni che vive solo in casa con la madre, Antonietta. La povertà la fa da padrone nella vita del piccolo, costretto ad ingegnarsi in tutti i modi per sopravvivere, senza cadere nell’illegalità: raccatta le pezze dai secchioni della spazzatura cosicchè la madre possa lavarle e venderle, dipinge i topi per farli sembrare criceti, conta e si dà punti a seconda delle scarpe dei viandanti che vede. Ogni dieci paia, ci sarà una sorpresa. La sua vita è una scommessa, dopotutto. Ma la scommessa più grande Amerigo la fa con la vita: la mamma acconsente a mandarlo al nord da una famiglia che per alcuni mesi si occuperà della sua salute e della sua istruzione, iniziativa del Partito Comunista che si offre di strappare i bambini dalla miseria. E così, come altri bambini, Amerigo viene caricato su di un treno verso il settentrione.

La storia è commovente, devastante, perché racconta la separazione di un bambino dalla madre verso un futuro più roseo. A cosa siamo disposti a rinunciare per correre incontro al nostro destino? Amerigo, dopottutto, è l’emblema del nostro paese nel dopoguerra, che ha fatto di tutto per rialzarsi, anche a rinunciare a qualcosa pur di sopravvivere. Grazie al punto di vista del bambino, apprendiamo i fatti e la storia nel più candido dei modi, così chiari e così decisi da un bambino che non voleva, dopotutto, lasciare la sua Napoli e sua madre.

Il racconto non è mai sdolcinato, ma è un excursus sui diversi tipi di amore, a tratti anche psicologico: Amerigo teme di non essere mai degno di qualcosa, ma la sua vita con la madre funzionava perché c’erano solo loro al mondo. L’amore non doveva essere dato da gesti espliciti, ma anche un insulto detto in modo affettuoso significava “amore”. Quando, invece, sale al nord, per Amerigo l’amore si traduce in abbracci, regali, promesse. Visto con gli occhi di un bambino, tra queste due forme di amore c’è una differenza abissale. Eppure Amerigo continuamente invita la madre a raggiungerlo, per condividere con lei la sua felicità. Solo alla fine, quando il bambino ormai è un adulto, capisce davvero la madre e tutto ciò che era stata per lui. Ogni decisione delinea una strada, un percorso che decidiamo di percorrere,che sia in punta di piedi o di corsa su di un treno. Per crescere, in fondo, bisogna pur lasciare qualcosa alle spalle. Questa dolorosa separazione viene sottolineata dal fatto che, una volta finito il “periodo assistenziale”, molti bambini scelgono di non tornare nalla famiglia di origine.

Si parla di riscatto sociale in questo commovente libro, perché Amerigo sconfigge la fame, sconfigge le scarpe troppo strette per un corpo che cresce e scoffige anche la paura iniziale di non essere mai abbastanza, di essere imperfetto agli occhi degli altri.

“Il treno dei bambini” è un romanzo che racconta la fuga dalla povertà di un bambino di umili origini. Malgrado sia ambientato nel secolo scorso, forse notiamo più che mai il distacco con il problema attuale dell’immigrazione. I bambini più poveri dei rioni di Napoli ospitati dalle famiglie del nord Italia potrebbero benissimo essere gli stessi che ogni giorno partono dall’Africa alla ricerca di una vita migliore. Il dolore, i dubbi e le incertezze di Amerigo sono le stesse di ogni bambino che si trova a dover fare i conti con una vita diversa, una lingua diversa e un mondo che non gli appartiene. Nella sua semplicità, Amerigo porta con sé le sue radici dolorose, ma diventano in lui un’occasione di crescita. Da povero “accattone” diventa un musicista di successo e ogni nota diviene una lettera d’amore per la madre che è lontana.

Amerigo ci insegna ad affrontare a testa alta il nostro destino, ma senza chiudere mai definitivamente con chi ci ha amato prima di allora. L’amore ha molte forme e a volte “scaldare amorevolmente i piedi gelati” vale quanto un abbraccio. Antonietta incarna bene la donna di inizio Novecento, disposta a tutto per dare al figlio una vita dignitosa, chiusa nel silenzio di colei che l’affetto non l’ha mai ricevuto, che non conosce la dolcezza di una carezza, ma per amore del figlio è disposta ad affidarlo alla cura di estranei che sapranno dargli un futuro migliore. Mancavano forse le parole tra Antonietta ed Amerigo, ma ad accompagnare la vita d’entrambi c’era sempre e comunque la certezza che a separarli c’era solo una strada. 

 

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