“Non sono i commercianti ad essere scesi in piazza, ma la malavita. Gruppi di estrema destra o sinistra, Camorra…” quanti di voi hanno letto almeno una volta questa frase? Quanti di voi hanno visto la condivisione di foto con le vetrine dei negozi spaccate seguite da commenti ironici del tipo: “Sono proprio commercianti disperati”? Non giustifichiamo la violenza, mai. Ma siamo consapevoli del fatto che parlare solo degli atti vandalici tappa la bocca a tutti i manifestanti pacifici. Ci mette, quindi, sullo stesso piano di chi spacca le vetrine dei negozi o carica la polizia. Abbiamo letto anche questo tipo di frasi: “Non è così che si fa la Rivoluzione” . Ebbene, oggi andremo a vedere proprio questo: come nasce una Rivoluzione.
Vogliamo parlarvi di quella Russa perché è stata quella più citata nei vari commenti. La Rivoluzione Russa, però, non accade per magia un giorno del 1917. Le sue radici nascono e crescono per tutto il secolo dell’Ottocento, e si intravedono nei primissimi anni del Novecento.
Quando si parla di Storia bisogna fermare la nostra mente, toglierle tutte le convinzioni moderne e catapultarci appieno nel secolo in questione. In questo caso ci troviamo nei primi anni dell’Ottocento, in Russia. Siamo in un paese autocratico, dove lo Zar ha potere assoluto. L’80% della popolazione russa è composta da servi della gleba e contadini che lavorano terre di proprietà dello Zar. Dopo alcuni accenni di tumulti, per lo più pacifici, nel 1861 lo Zar Alessandro II abolisce la servitù della gleba, dando così la possibilità a molte persone di riscattare la terra. Vent’anni dopo, però, il 51% di questi contadini sta ancora pagando i debiti per la propria liberazione. Rimangono così di fatto in condizioni di estrema povertà.
Alessandro II continua con le sue riforme: rinnova il sistema giudiziario dando maggiore autonomia ai tribunali, migliora l’istruzione e abbassa la censura, dando il via al circolo di nuove idee che nel resto d’Europa già si conoscono bene da anni. La Russia comincia così a sperimentare l’industrializzazione, anche se in modi che l’Europa ha già superato ampiamente.
Stiamo vivendo in un paese immenso, a cavallo tra due continenti (Europa e Asia) ma che è notevolmente arretrato dal punto di vista sociale ed economico. La ricchezza è concentrata solo in alcune città, mentre nel resto del Paese si conosce solo povertà. Pensate che per i russi poveri, avere scarafaggi o insetti in casa è considerato simbolo di ricchezza, perché questi animali nidificano solo in luoghi dove è presente del cibo.
Tra gli intellettuali e alcuni settori della borghesia, quindi, nasce la volontà di aiutare queste fasce di popolazione e nel 1870 circa nasce il movimento populista, che ha tra gli obiettivi quello di rovesciare lo Zar e il sistema dell’aristocrazia. Uno di questi gruppi, “Volontà del popolo” il 13 marzo 1881, porta a termine l’assassinio di Alessandro II, nonostante le riforme attuate.
Logica vuole, quindi, che i successori (Alessandro III e Nicola II) tentino di ripristinare il potere autoritario, impauriti dalla troppa libertà del popolo. Stiamo ora nei primi anni del Novecento, e i focolai populisti, nati quasi settant’anni prima, diventano sempre più grandi e trovano sempre più sostegno dai ceti rurali che prospettavano una rivoluzione contadina. Nel 1883 alcuni populisti in esilio danno vita, a Losanna, alla prima organizzazione marxista chiamata “Emancipazione del lavoro”, nel 1895 a San Pietroburgo viene istituita l’”Unione di Lotta per l’Emancipazione della Classe Operaia”, nel 1898, nasce a Minsk “Il Partito Operaio Socialdemocratico Russo” Nel 1901 viene fondato il Partito Socialista Rivoluzionario russo. Facciamo attenzione alle date: ci sono voluti quasi settant’anni per conoscere una situazione critica, quasi novant’anni anni circa per la nascita dei primi movimenti, e un secolo per il primo partito Socialista russo. A portare a galla tutto, però, è stata la violenza.
Il partito socialista, contrariamente ai populisti, non ha a cuore le condizioni dei contadini, punta bensì a una rivoluzione mondiale, favorendo l’industrializzazione. Premono per la nascita di un nuovo ceto sociale, quello del proletariato, che avrebbe potuto unirsi a loro nella lotta del movimento. Tra sommosse contadine, manifestazioni di protesta di ferrovieri e operai, siamo ormai nel 1905. Dopo anni di terrorismo rivoluzionario (nel 1901 venne assassinato il ministro dell’istruzione, nel 1902 quello degli interni e nel 1904 il suo successore), la povertà è sempre più presente, a causa anche della guerra scoppiata contro il Giappone.
La corrente non si ferma. La Storia ci insegna anche che una volta preso il via, un movimento non si può fermare. È il 9 gennaio 1905, -giornata che verrà ricordata come la domenica di sangue-migliaia di persone scendono pacificamente davanti al Palazzo d’Inverno, convinte che lo Zar avrebbe migliorato le loro condizioni di vita, se ne fosse venuto a conoscenza. Hanno con sé una petizione con oltre 130.000 firme in cui chiedono riforme economiche e politiche, la riduzione di lavoro a otto ore, il salario minimo giornaliero e la convocazione di un’assemblea costituente. Purtroppo, però, la risposta si trova nel sangue: le truppe imperiali sparano sulla folla, lasciando per terra oltre duemila feriti e centinaia di morti. È in questa domenica rossa che il popolo perde totalmente fiducia nello zar.
La folla pacifica non viene ascoltata e il pugno duro che Nicola II vuole continuare a tenere (in ricordo dell’assassinio del nonno, nonostante stesse andando incontro al popolo) moltiplica le manifestazioni di protesta violente. Si uniscono le due fazioni dei socialdemocratici (i bolscevichi e i menscevichi), i consigli di operai (soviet), e nelle campagne si scatenano le rivolte contro i proprietari terrieri.
Anni di proteste, rivolte, assassini, attentati, non portano al miglioramento della situazione sociale. E ad aggravare il tutto c’è la Prima Guerra Mondiale. Nel 1914 l’Impero Russo scende in campo con l’Intesa (Gran Bretagna e Francia) ma è chiaro fin da subito la sua arretratezza. Nel 1915 viene luogo la Grande ritirata, dove la Russia perde il controllo della Galizia e della Polonia. Non serve a nulla neanche l’importante vittoria del 1916 contro i tedeschi e gli austro-ungarici: le perdite dei soldati, i prigionieri catturati e la crescente difficoltà economica, danno il via alla Rivoluzione vera e propria.
Dopo più di un secolo di tensioni, nel febbraio del 1917, la folla torna a riunirsi in piazza, a Pietrogrado. Scioperi e manifestazioni non smuovono Nicola, che decide di sciogliere la Duma e ordina di reprimere queste manifestazioni. Non fa i conti con l’esercito che stavolta si mette dalla parte dei manifestanti, dando loro armi e munizioni. La Duma si riunisce per conto proprio, cercando di costituire un governo. La situazione è chiara a tutti e l’appoggio delle forze dell’ordine e dei politici dà più forza al popolo che a Pietrogrado occupa i principali luoghi di controllo, mentre Mosca cade in pochi giorni in mano agli insorti.
Solo ora Nicola II fa un tentativo di riforme: è il 2 marzo 1917, ed è ormai troppo tardi. La notte successiva Nicola II abdica in favore del fratello Michail, il quale rifiuta l’incarico. La dinastia Romanov è così giunta al termine. La famiglia dello Zar viene arrestata qualche settimana dopo, e fucilata il 17 luglio 1918.
Vi abbiamo dato un’infarinatura della Rivoluzione Russa e delle sue ragioni. Ci sarebbe molto di più da dire, non abbiamo potuto citarvi i personaggi principali per motivi di spazio e tempo, ma una cosa risulta chiara: a insorgere non sono solo le persone pacifiche. Le manifestazioni hanno più visibilità e richiamo quando sono violente, e la violenza attira altra violenza.
Se è vero che dobbiamo imparare dalla storia, non dovremmo forse preoccuparci proprio perché continuiamo a condividere questa violenza? Sono passati centotre anni dalla Rivoluzione Russa, e forse abbiamo dimenticato i motivi che l’hanno scatenata.
Prima di condividere certi post, o voltarci dall’altra parte perché “scendono in piazza solo i violenti” chiediamoci se è giusto. È giusto tappare la bocca a chi scende pacificamente? È giusto dare più credito ai facinorosi, gli stessi che stanno attirando sempre più gente?
È giusto continuare a sbagliare, nonostante la Storia ci abbia già insegnato tanto? Cerchiamo di condividere la parte pacifica, dobbiamo stare dalla loro parte. “Gli altri siamo noi”. Sta a noi, quindi, scegliere quale fazione far vincere.
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