Ogni libro
lascia qualcosa al lettore, qualcosa che porterà per sempre dentro di sé. È il
pezzo di una storia in cui ci siamo sentiti spettatori o protagonisti, se la
scrittura lo prevedeva e se le emozioni descritte erano forti e ben chiare. Il libro
che questa volta abbiamo recensito è “Il treno dei bambini”, un romanzo di
Viola Ardone.
La storia
è ambientata nella Napoli del dopoguerra, del 1946, con la povertà dilagante e
le famiglie distrutte dalla miseria. Il protoginista è Amerigo Speranza, un
bimbo di appena sette anni che vive solo in casa con la madre, Antonietta. La povertà
la fa da padrone nella vita del piccolo, costretto ad ingegnarsi in tutti i
modi per sopravvivere, senza cadere nell’illegalità: raccatta le pezze dai
secchioni della spazzatura cosicchè la madre possa lavarle e venderle, dipinge
i topi per farli sembrare criceti, conta e si dà punti a seconda delle scarpe
dei viandanti che vede. Ogni dieci paia, ci sarà una sorpresa. La sua vita è
una scommessa, dopotutto. Ma la scommessa più grande Amerigo la fa con la vita:
la mamma acconsente a mandarlo al nord da una famiglia che per alcuni mesi si
occuperà della sua salute e della sua istruzione, iniziativa del Partito
Comunista che si offre di strappare i bambini dalla miseria. E così, come altri
bambini, Amerigo viene caricato su di un treno verso il settentrione.