È con le lacrime ancora agli occhi che sto scrivendo questo articolo su “Le sette fate di Youssef”, romanzo di Linda Scaffidi uscito per Fazi Editore il 2 settembre 2025.
La citazione iniziale di Giuseppe Longo, con la quale si apre il libro e che trovate in questo articolo subito dopo questa introduzione, mi ha fatta tornare indietro nel tempo, ai primissimi anni del 2000, quando la gente notando i miei lineamenti si teneva a debita distanza da me, almeno finché non scopriva che ero romana de Roma e italiana da ogni generazione a me conosciuta.
Dall’altra parte, invece, accade che camminando in pieno centro alcun turisti arabi mi fermino per chiedermi informazioni, certi che io possa capirli.
Il fatto è che nel mio dna scorre (anche, visto che ho praticamente mezza Italia) sangue siciliano, quindi non dubito che qualche mio antenato arrivi da terre molto più lontane. Per anni mi sono sentita un’adolescente che doveva vergognarsi per tratti di cui in realtà andava orgogliosa e finalmente con la maturità alle spalle, ho potuto fare pace con una Sicilia che faccio vivere il più possibile in me.
Nella Palermo, precisamente nel rione popolare Ballarò, anni Novanta, Youssef è un ragazzino diviso tra i due natali dei genitori: il padre Alì nato in Marocco e desideroso di ritornarci il prima possibile, e la madre Taslima, con origini arabe ma nata in Italia.
Youssef per crescere al meglio senza ulteriori distinzioni sociali, si fa chiamare da tutti Peppe e si integra come può all’interno della scuola proprio grazie allo studio, per il quale è abbastanza portato. La letteratura e la poesia, sono il mondo, dove si scopre e si ritrova e che condivide con la compagna di classe Teresa, della quale si innamora perdutamente.
Quando supera la maturità a pieni voti ed è pronto per iscriversi all’università, però, ogni suo sogna crolla: Alì decide di trasferire tutta la famiglia in Marocco.
In Youssef vi è tutto il dolore di un bambino che si è sempre riconosciuto nella cultura italiana, senza mai considerare minimamente quella di origine che però risalta agli occhi di chi si trova davanti. Sa che per farsi conoscere davvero dovrà lottare senza armi, senza parole, ma solo attraverso la cultura l’unica capace di sconfiggere l’ignoranza.
Ovviamente non tutte le persone si fermano alle apparenze e alle paure innate per quello che non si conosce, e chi muove i primi passi senza timore diventa per Youssef la famiglia che si è scelto. Saranno i suoi legami solidi, incondizionati, di chi ama e vuole bene perché guarda l’animo.
In Youssef poi c’è tutta la determinazione di voler dare e fare il meglio, non per gli altri ma per dimostrare a se stesso il suo valore, ignorato in primis da padre Ali: assente e presente più che mai e allo stesso tempo. Perché Alì vive nelle parole dure, violente, che rivolge ai figli e che Youssef integra pensandole reali.
Un libro che racconta la durezza di quei tempi e di certi luoghi, con una scrittura che non sfocia mai nella volgarità o nel giudizio ma che anzi descrive le condizioni sociali dei personaggi con candore, deliziandoci ed emozionandoci in ogni momento e tifando il più possibile per Youssef, che vorremmo abbracciare dall’inizio alla fine.
Una lettura coinvolgente, intensa e veloce che resterà sicuramente nel cuore e nell’animo dei lettori.
La citazione iniziale di Giuseppe Longo, con la quale si apre il libro e che trovate in questo articolo subito dopo questa introduzione, mi ha fatta tornare indietro nel tempo, ai primissimi anni del 2000, quando la gente notando i miei lineamenti si teneva a debita distanza da me, almeno finché non scopriva che ero romana de Roma e italiana da ogni generazione a me conosciuta.
Dall’altra parte, invece, accade che camminando in pieno centro alcun turisti arabi mi fermino per chiedermi informazioni, certi che io possa capirli.
Il fatto è che nel mio dna scorre (anche, visto che ho praticamente mezza Italia) sangue siciliano, quindi non dubito che qualche mio antenato arrivi da terre molto più lontane. Per anni mi sono sentita un’adolescente che doveva vergognarsi per tratti di cui in realtà andava orgogliosa e finalmente con la maturità alle spalle, ho potuto fare pace con una Sicilia che faccio vivere il più possibile in me.
“Se mi guardo le gambe e le mani, il colore della pelle se mi veod in faccia allo specchio, io non posso dubitare un istante d’essere nato da gente che ebbe fra i suoi antenati degli arabi.”
- Giuseppe Longo, La Sicilia è un’isola
Nella Palermo, precisamente nel rione popolare Ballarò, anni Novanta, Youssef è un ragazzino diviso tra i due natali dei genitori: il padre Alì nato in Marocco e desideroso di ritornarci il prima possibile, e la madre Taslima, con origini arabe ma nata in Italia.
Youssef per crescere al meglio senza ulteriori distinzioni sociali, si fa chiamare da tutti Peppe e si integra come può all’interno della scuola proprio grazie allo studio, per il quale è abbastanza portato. La letteratura e la poesia, sono il mondo, dove si scopre e si ritrova e che condivide con la compagna di classe Teresa, della quale si innamora perdutamente.
Quando supera la maturità a pieni voti ed è pronto per iscriversi all’università, però, ogni suo sogna crolla: Alì decide di trasferire tutta la famiglia in Marocco.
In Youssef vi è tutto il dolore di un bambino che si è sempre riconosciuto nella cultura italiana, senza mai considerare minimamente quella di origine che però risalta agli occhi di chi si trova davanti. Sa che per farsi conoscere davvero dovrà lottare senza armi, senza parole, ma solo attraverso la cultura l’unica capace di sconfiggere l’ignoranza.
Ovviamente non tutte le persone si fermano alle apparenze e alle paure innate per quello che non si conosce, e chi muove i primi passi senza timore diventa per Youssef la famiglia che si è scelto. Saranno i suoi legami solidi, incondizionati, di chi ama e vuole bene perché guarda l’animo.
In Youssef poi c’è tutta la determinazione di voler dare e fare il meglio, non per gli altri ma per dimostrare a se stesso il suo valore, ignorato in primis da padre Ali: assente e presente più che mai e allo stesso tempo. Perché Alì vive nelle parole dure, violente, che rivolge ai figli e che Youssef integra pensandole reali.
Un libro che racconta la durezza di quei tempi e di certi luoghi, con una scrittura che non sfocia mai nella volgarità o nel giudizio ma che anzi descrive le condizioni sociali dei personaggi con candore, deliziandoci ed emozionandoci in ogni momento e tifando il più possibile per Youssef, che vorremmo abbracciare dall’inizio alla fine.
Una lettura coinvolgente, intensa e veloce che resterà sicuramente nel cuore e nell’animo dei lettori.
Nessun commento:
Posta un commento