giovedì 19 giugno 2025

#Documentari: American Murder – Il caso Gabby Petito

Ho conosciuto per la prima volta il caso di Gabby Petito dalla serie YouTube di Elisa True Crime. La storia mi è rimasta scolpita nella testa non tanto per l’ennesimo caso di femminicidio ai quali – purtroppo – ci stiamo abituando, ma perché nel momento della sparizione della ragazza, seguita sui social da un discreto numero di utenti, il caso è diventato come una specie di reality show che ha coinvolto le famiglie di lei e del suo fidanzato.


Ma procediamo a parlare con ordine, proprio come fa la docuserie “American Murder – Il Caso Gabby Petito” diretta da Julia Willoughby Nason e Michael Gasparro, disponibile su Netflix
 
La docuserie, a cui hanno partecipato la famiglia e gli amici più stretti di Gabby, mostra per la prima volta i filmati integrali della polizia, i backstage dei video poi montati sul suo canale YouTunbe, gli estratti del suo diario che dipingono un quadro già visto tante volte: il ragazzo geloso e insicuro che non riesce a vivere senza la donna che dice di amare e per questo la uccide quando lei vuole mettere fine alla relazione.

Ma chi è Gabby Petito?

Originaria di Blue Point, New York, nel 2019, a vent’anni Gabby decide di lasciare il suo lavoro per trasferirsi in Florida a casa della famiglia del suo fidanzato, Brian Laundrie. Qui le cose non vanno benissimo: Gabby è sempre a disagio perché la madre di lui, Roberta, la tratta male. Ma Gabby, di carattere solare non ci fa caso più di tanto, sostenuta inizialmente anche dallo stesso Brian. Quando, però, lei decide di lavorare solo per mettersi da parte dei soldi e condurre la vita che davvero sogna – quella di girare per gli Stati Uniti a bordo di un van e filmare tutto per i social – Brian inizia con il suo atteggiamento negativo: dapprima le insinua dei dubbi, poi quando lei continua con la sua vita di sempre, uscendo con le amiche, lui fa di tutto per tenerla stretta a sé.
Inizia così il lavaggio del cervello ai danni di Gabby che crede di non meritarsi Brian perché dopo ogni lite lui torna a essere più dolce e premuroso che mai, insinuando in lei il dubbio che abbia esagerato. Con questi tira e molla, Gabby decide di portare nella sua vita sul van anche il fidanzato: appena racimola i soldi compra un Ford Transit Connect del 2012 e a luglio 2021 apre ufficialmente i canali YouTube e Instagram Nomadic Statik, dove con la bio “In viaggio per il mondo nel nostro piccolo furgone #vanlife” i ragazzi mostrano al mondo il loro tragitto, iniziato il 2 luglio da New York ma interrotto il 27 agosto a Jackson, Wyoming.

Il caso

Il 12 agosto 2021 alla polizia dello Utah arriva una telefonata: un testimone denuncia l’aggressione domestica ai danni di una donna. Ha visto il ragazzo schiaffeggiarla per strada e poi portarla di corsa su un furgone. Con un posto di blocco, la polizia trova il furgone e con solo una sconvolta Gabby e un tranquillo e pacifico Brian. Separati i due, i poliziotti provano a capire cosa ci sia che non va e giungono alla conclusione che è stata lei ad aggredire lui. Così dicono a Gabby di tornare al furgone, e a Brian di passare una notte in albergo con l’ammonimento di non parlarsi per le prossime ore.

Qualche giorno dopo, tra il 27 e il 30 agosto, la madre di Gabby riceve due messaggi dal telefono della figlia: il primo dice: “Can you help Stan?” (trad. “Puoi aiutare Stan?”); il secondo: “No service in Yosemite” (trad. “Niente campo a Yosemite”). La madre prova a contattare la figlia, stranita dal primo messaggio: Stan, infatti, è il nonno di Gabby che mai chiamava per nome. Lei, però, non risponde.

Nello stesso periodo, il 29 agosto per l’esattezza, Brian contatta i genitori dicendo loro: “Gabby’s gone” (trad. “Gabby se n’è andata” che in inglese ha il doppio significato di andata via da un luogo o morta) e di contattare presto un avvocato. Due giorni dopo il ragazzo torna in Florida, dove ad attenderlo ci sono un discreto numero di troupe televisive e persone comuni a chiedergli che fine abbia fatto Gabby, visto che nel frattempo i genitori di Gabby, dopo aver denunciato la scomparsa della figlia alla polizia e sui social, hanno cominciato a contattare anche i media.
Stressato dalla situazione, il 6 e il 7 settembre Brian decide di partire per un campeggio insieme ai genitori e alla famiglia della sorella.

La polizia nel frattempo scopre che Brian aveva fatto un prelievo con la carta di credito di Gabby, così lo inserisce ufficialmente tra i sospettati ma il 13 settembre sparisce anche lui.
Neanche una settimana dopo, il 19, vengono ritrovati i resti di Gabby nella Bridget-Teton National Forest in Wyoming. L’autopsia parla chiaro: la causa del decesso è per strangolamento.
Ecco che gli interi Stati Uniti si mobilitano per una caccia all’uomo senza precedenti: sia nella vita reale con la polizia, che sui social, con tutti i video degli utenti, chiunque è alla ricerca di Brian che infatti viene trovato un mese dopo, il 20 ottobre, ma privo di vita al Myakkahatchee Creek Environmental Park, in Florida. La causa del decesso è un colpo di pistola alla tempia. Accanto al cadavere vi è un diario, dove lui ammette di aver ucciso Gabby, ma solo per porre fine alle sue sofferenze dopo alla caduta da una scarpata. Cosa ovviamente, smentita dalla scientifica e dai risultati dell’autopsia sul corpo della ragazza.

The Gabby Petito Foundantion


Nel 2022 la famiglia di Gabby ha fatto causa a quella di Brian per omicidio colposo dal valore di tre milioni di dollari. È stata così creata la Gabby Petito Foundation una fondazione senza fini di lucro con l’obiettivo di sensibilizzare sulla violenza domestica e dare aiuto a chiunque ne abbia bisogno.
In più lotta per far avere leggi e politiche più severe quando vengono segnalati casi di abusi e persone scomparse, con un occhio di riguardo verso tutti, anche i casi più isolati.

Perché vederlo?

La storia di Gabby Petito è purtroppo simile a quella di tante altre donne, ma questa miniserie, composta da soli tre episodi va vista assolutamente perché mostra tutti quei campanelli d’allarme – sui social è virale il trend delle red flagsche, se visti e recepiti in tempo, possono farci scappare lontano da un possibile assassino.
Ricordiamoci, infatti, che prima di arrivare alla morte vi è la violenza fisica, prima ancora quella psicologica, e ancora prima la manipolazione mentale. Tutto, quindi, viene segnalato dai primissimi campanelli d’allarme: gelosia, instabilità, e reazioni eccessive a comportamenti normali.

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