venerdì 20 giugno 2025

#Lifestyle: Smart working e nuove abitudini - Come l’evoluzione del lavoro sta cambiando il nostro quotidiano

Con il primo appuntamento di questa rubrica ho dato i miei piccoli consigli sul vivere bene in città. Oggi vorrei parlare dello smart working, ma senza dare giudizi positivi o negativi, semplicemente vedendolo per quello che è, almeno secondo la mia esperienza.
Sono passata dal lavorare fuori a gestire il mio tempo come voglio, seguendo più progetti in contemporanea. E anche se durante l’anno ho ancora delle settimane dove devo passare le classiche otto ore fuori, il più del mio lavoro viene svolto comodamente da casa, o in giro per Roma.
Lo stesso fanno molti miei amici e parlando con loro dei pro e dei contro, siamo tutti d’accordo che difficilmente torneremmo alla vita di prima.

Come ha influito, quindi, questo nuovo modo di lavorare nella mia vita? Vediamolo insieme.
  
È lo smart working che ha cambiato il nostro approccio alla vita, o è il nostro stile di vita che ha voluto inventare lo smart working? Nato come necessità in tempi di Pandemia, ha preso piano piano piede, tanto che molte aziende lo preferiscono e molti lavoratori lo richiedono, soprattutto perché stanno aumentando sempre più i luoghi dove poter lavorare anche fuori da casa, ma rimanendo pur comodi nel comfort di un bar, un parco, una biblioteca...

Ecco quindi cinque mie abitudini che sono notevolmente cambiate…

Il tempo è cambiato: meno rigido, più personale

Non è più importante passare otto ore consecutive seduti al computer, ma essere disponibili a fare il lavoro del giorno… entro la giornata. Conoscere le proprie abitudini è fondamentale, così stando a casa e lavorando comunque fino alle cinque del pomeriggio, riesco a concedermi il tempo per allenarmi, ascoltare musica, cantare a squarciagola pur continuando a lavorare comodamente. E che dire del fatto che si può rimanere in tuta, in pigiama, completamente struccate?
Devo anche dire che mi impongo di non lavorare a letto solo per mantenere un minimo di dignità umana, ma in effetti nessuno mi vieterebbe di scrivere, pensare all’organizzazione della settimana e dei progetti lavorativi da sotto le coperte, soprattutto quando fuori piove…
La parte più divertente, per una che non riesce a stare ferma come me, è il poter stare in riunione o ascoltare dei corsi, mentre sistemo casa, mi faccio la manicure o mi rilasso sul divano.
Si riscopre l’importanza del tempo per sé, ma soprattutto si comincia a ragionare che il lavoro non dovrebbe essere quantificato per il tempo trascorso al pc, ma per quanto si è fatto.

Il lavoro ci chiede autenticità

Soprattutto se si ha la fortuna di lavorare con le generazioni più giovani – dai Millennial in giù – per noi poco conta l’apparenza, ma la sostanza. Così ho avuto chiamate con datrici di progetti che stavano allattando, o che stavano dando dal mangiare ai propri cani e gatti, mentre anche io magari stavo avvolta in un piumone, totalmente infreddolita, o mentre camminavo per Roma. Insomma, la professionalità non è più una maschera che dobbiamo indossare per mostrarci in un certo modo, ma rientra in quello che sappiamo fare, nel modo in cui lo facciamo e nel tempo giusto. Ecco perché possiamo diventare tutti unici e indispensabili: non dovendo mentire, basta essere noi stessi. 

La casa è diventata anche ufficio

Forse questo è un punto che sembra positivo, ma è più negativo di quanto si pensi. Per alcuni miei amici e colleghi è impensabile dormire dove si lavora, così si ritagliano anche solo un angolino dove dover fare tutto. Per me, invece, no. È praticamente uguale. Riesco tranquillamente a lavorare ovunque, anche nella mia camera da letto, e anche a letto quando mi sento poco bene, non ne risento particolarmente. È vero che spesso, dopo 17:00, provo l’impulso di dover uscire, anche solo per fare il giro del quartiere e tornare a casa un’ora dopo, ma ormai sono così abituata che alle 17:01 potete già vedermi, computer spento, sotto le coperte a… dormire.

Nuove abitudini, nuovi equilibri

Pur non dovendo uscire e non dovendo affrontare il traffico della mattina, attaccando alle 8:00 ho scelto di continuare a svegliarmi alle 6:00 solo per il gusto di sonnecchiare fino alle 7:30 a letto. La calma, per me che soffro del disturbo d’ansia, è come una medicina, qualcosa da dover prendere e ricercare il più possibile. Lo stesso vale per le pause. Il mio corpo non sente la stanchezza – ecco il motivo per cui ho spesso la tendinite al polso e la congiuntivite per le tante ore passate al pc – così quando sto in pausa pranzo, stacco da qualsiasi cosa, bloccando anche il telefono che non può ricevere messaggi o chiamate se non dai numeri d’emergenza. Oltre a quella pranzo, l’unica pausa la faccio nel pomeriggio, perché spesso e volentieri finisco di fare tutto ciò che devo per le 15:00 così in quelle due ore sono solo di “disponibilità”, come spesso dico, in caso arrivi un nuovo progetto a cui lavorare. Ma spesso non arriva nulla, così una pausa di dieci minuti si trasforma facilmente in una di due ore.


Meno incontri casuali, più connessioni scelte

Certo, non si parla spesso con i colleghi e , anzi, pur avendo WhatsApp web sempre aperto, sono molte le chat che ignoro – per esempio, adesso sono sette, solo nelle ultime due ore – perché non posso permettermi il lusso di chiacchierare come se nulla fosse, ma quando lo faccio durante le ore di lavoro, sono di conversazioni scelte appositamente, che mi hanno tolto quella che per me è una e vera propria croce: le chiacchierate tanto per… Non sopporto di dover perdere tempo, di parlare di cose inutili, per me ogni momento è prezioso, così preferisco il silenzio al parlare per l’ennesima volta di un argomento di cui non provo il minimo interesse.

Insomma, lo smart working mi ha insegnato che il tempo è davvero prezioso, che non si vive per lavorare e che l’importante non è quanto fare, ma come lo si fa.

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