Nel quarto canto ci ritroviamo nel primo girone dell’Inferno: il Limbo. Come tutti sappiamo è il luogo in cui dimorano le persone non battezzate. O almeno, dimoravano, perché dal 2007 Papa Benedetto XVI lo ha abolito.
Permetteteci una piccola battuta: può davvero un Papa eliminare una parte interna di noi? Ovviamente no. Ricordiamo, ancora una volta, che Dante descrive il cammino interiore di ogni iniziatico. E come la Bibbia va interpretata nelle sue innumerevoli metafore (che tu sia ateo o credente, se credi ciecamente e in maniera letterale a ciò che lì è scritto, vinto dall’ignoranza, ti perdi sul serio il bello), così anche la Divina Commedia va intesa oltre le parole stesse. Comunque, iniziamo.
Vero è che ‘n su la proda mi trovai
de la valle d’abisso dolorosa
che ‘ntrono accoglie d’infiniti guai.
Oscura e profonda era e nebulosa
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
io non vi discernea alcuna cosa.
Dante si risveglia dopo essere svenuto. Nell’analisi al terzo canto vi abbiamo già spiegato cosa vogliano dire tutti gli svenimenti. Si ritrova in un luogo angusto, così buio che è impossibile vedere qualsiasi cosa.
Le prime volte che viaggiamo al nostro interno, tutto è oscuro. È la parte dell’inconscio che Jung chiama ombra, dove non può esserci alcuna luce. È la stessa parte che rimane del tutto sconosciuta e che bussa ogni tanto alla nostra parte conscia mandandoci paure, ansie, terrore.
Ogni iniziato sa che è proprio da lì che bisogna cominciare per poter avere la totalità della luce. In molti, infatti, non intraprendono il viaggio proprio per timore di incontrare il drago più grande e spaventoso nascosto in noi stessi.
“Or discendiam qua giù nel cieco mondo”,
cominciò il poeta tutto smorto.
“Io sarò primo, e tu sarai secondo”.
E io, che del color mi fui accorto,
dissi: “Come verrò, se tu paventi
che suoli al mio dubbiare esser conforto?”.
Ed elli a me: “L’angoscia de le genti
che son qua giù, nel viso mi dipigne
quella pietà che tu per tema senti.
Andiam, ché la via lunga ne sospigne”.
Così si mise e così mi fé intrare
nel primo cerchio che l’abisso cigne.
Virgilio dice a Dante di seguirlo lungo il tragitto per tutto l’inferno. Il poeta, però, notando il pallore sul volto della sua guida, gli domanda come possa affidarsi a lui se è spaventato dal luogo che stanno per visitare. Virgilio gli risponde con moltissima grazia, ed è una risposta che chiunque ha timore di avventurarsi nel proprio inferno dovrebbe tenere a mente: Virgilio conosce benissimo l’angoscia di tutte le persone che sono lì, ma il pallore non è dovuto a una preoccupazione, bensì alla pietà che lui prova per loro.
Il cammino iniziatico è certamente spaventoso per chi non l’ha ancora affrontato. Guardare il nostro interno non è una gran bella cosa, ve lo assicuriamo. Ma chi ci accompagna lungo il percorso ha sempre un’energia benevola, pur ricordandosi perfettamente cosa ha provato quando stava nella nostra stessa situazione.
Vedremo, col passare dei gironi, quanto piano piano ci apriamo ai nostri demoni interni. Col trascorrere del tempo essi non ci faranno più paura, saranno dei nostri alleati.
Lo buon maestro a me: “Tu non dimandi
che spiriti son questi che tu vedi?
Or vo’ che sappi, innanzi che più andi,
ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi,
non basta, perché non ebber battesmo,
ch’è porta de la fede che tu credi;
e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo,
non adorar debitamente a Dio:
e di questi cotai son io medesmo.
Per tai difetti, non per altro rio,
semo perduti, e sol di tanto offesi
che sanza speme vivemo in disio”.
Virgilio rimane quasi incredulo quando Dante non gli fa alcuna domanda, ma comunque gli descrive chi sono tutte le anime che qui vede. Esse non hanno alcun peccato, se non quello di non essere state battezzate o di non aver conosciuto il vero Dio perché nate prima del cristianesimo. Non possono neanche essere salvate con le “mercedi”, sicuramente vi ricorderete quanto la Chiesa premesse nell’avere denaro in cambio di espiazione dei peccati.
Non hanno commesso alcun peccato, e per questo non stanno scontando alcuna condanna. Se non c’è condanna, non può esserci salvezza, in un certo senso è anche peggio di non avere alcuna pena.
Ora, chi nella vita non ha alcun desiderio o speranza per il futuro? Chi pensa di non aver alcun motivo di crescita interiore. Chi si accontenta di una vita casa-scuola/lavoro. Dove il tutto è concentrato nel dovere di fare qualcosa. Queste persone non si pongono alcuna domanda, ecco perché Dante non domanda. Ricordatevi che Dante sta vedendo parti di sé, così come dovremmo vederle in noi.
Al massimo possono chiedersi cosa dover fare per cena, che tipo di detersivo comprare, ma nulla in più. Si accontentano del primo posto lavorativo che trovano, non hanno una vera e propria passione. Vivono per tutta la vita sospesi nel nulla, e la vita risponde dando a loro il nulla.
Il battesimo o il non conoscere veramente Dio, sono ovviamente delle metafore. Possiamo aver ricevuto anche tutti i sacramenti, ma finché non mettiamo in moto la nostra anima con domande veramente profonde, vivremo nel Limbo.
Virgilio è tra questi e non manca lo stupore di Dante.
Gran duol mi prese al cor quando lo ‘ntesi,
però che gente di molto valore
conobbi che ‘n quel limbo eran sospesi.
Dante prova un grande dolore quando si rende conto che nel Limbo sono sospese anime con un immenso valore. E credeteci, siamo affrante anche noi ogni volta che vediamo persone non sfruttare le loro enormi doti.
Secondo voi perché la Disney spinge così tanto nel realizzare i propri sogni? “Se puoi sognarlo, puoi farlo”. Perché Walt Disney ha passato la sua intera esistenza a convincerci di ciò? Perché nella vita dobbiamo fare un’unica cosa: manifestare la nostra anima attraverso i nostri talenti. (Vi ricordiamo ancora una volta la parabola sui Talenti)
Quante persone, piene di doti, passano la vita a non metterle mai in pratica? Si convincono che così facendo stiano bene. Soul non ci ha mostrato forse questo? “Cosa ti butti sulla musica? Il vero lavoro è il posto fisso e ben retribuito.” Ma è davvero così? Se fosse sul serio così, perché la depressione colpisce maggiormente chi ha la stabilità, almeno in apparenza?
Se fosse sul serio così, perché il Giappone, stato dove il lavoro è per tutti, ha anche il più alto tasso di suicidi? Ogni qualvolta vi venga in mente il pensiero che la stabilità si debba cercare all’esterno in un lavoro, nel proprio conto in banca, o in una relazione, sappiate che ve la state raccontando. Vi trovate nel Limbo, il peggiore dei gironi infernali. La stabilità va cercata dentro.
“Dimmi, maestro, mio, dimmi, segnore”,
comincia’ io per volere esser certo
di quella fede che vince ogne errore:
“uscicci mai alcuno, o per suo merto
o per altrui, che poi fosse beato?”.
E quei che ‘ntese il mio parlar coverto,
rispuose: “Io era nuovo in questo stato,
quando ci vidi venire un possente,
con segno di vittoria coronato.
Trasseci l’ombra del primo parente,
d’Abèl suo figlio e quella di Noè,
di Moïsè legista e ubidiente;
Abraàm patrïarca e Davìd re,
Istraèl con lo padre e co’ suoi nati
e con Rachele, per cui tanto fé,
e altri molti, e feceli beati.
E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi,
spiriti umani non eran salvati”.
“Io per volere esser certo/di quella fede che vince ogne errore”. È un verso che ci piace particolarmente. A noi viene spesso ripetuto che una domanda non fatta è un seme che non potrà mai nascere. Dante scrive più o meno la stessa cosa: per poter acquisire maggior fede, bisogna porsi e farsi molte domande (le stesse che gli abitanti del Limbo non si pongono mai). Più sono profonde, più l’insegnamento che ne verrà fuori sarà immenso.
Dante chiede quindi a Virgilio se qualche anima è mai stata salvata da questo luogo, e lui gli risponde che sono stati salvati solamente i patriarchi biblici, o comunque chi abbia avuto un qualsiasi legame con Gesù. La loro salvezza è infatti avvenuta nel momento della sua ascesa in Paradiso, dopo la Resurrezione.
Ma come mai solo loro? Ricordiamoci ancora una volta che tutto ciò avviene dentro di noi. Quando quindi troviamo la luce eterna, alla fine del cammino, noi salviamo tutti i preconcetti dati dalla nostra famiglia di origine, o dalla società, che sono stati sepolti nel Limbo dell’Inconscio.
Molto spesso, infatti, noi non abbiamo commesso alcun errore, ma siamo stati educati in un modo. Ecco, questo è il senso del Limbo: i peccati che non abbiamo commesso, ma che sono in noi perché ci sono stati messi da altri con cui condividiamo il DNA o la comunità. Fortunatamente verranno automaticamente trascesi nel momento in cui avremo la Realizzazione.
Per adesso, accontentiamoci di vederli solamente. E infatti nei versi successivi Dante incontra altri Poeti: Omero (rappresentato come una sorta di Re), Orazio, Ovidio e Lucano. Tutti e sei si intrattengono in gruppo, Virgilio è lieto che gli altri abbiano accolto Dante come uno di loro.
Da ch’ebber ragionato insieme alquanto,
volsersi a e con salutevol cenno,
e ‘l mio maestro sorrise di tanto;
e più d’onore ancora assai mi fenno,
ch’è’ sì mi fecer de la loro schiera,
sì ch’io fui sesto tra cotanto senno.
Piccola considerazione: notate che Dante si è messo tra i maggiori poeti non per superbia, assolutamente. Il tutto è avvenuto in modo semplice. Dante è tra i grandi perché la nostra famiglia è composta anche dagli amici che ci scegliamo, dai nostri simili.
La sociologia ci insegna infatti che il nostro carattere è forgiato in una sorta di media delle cinque persone che più frequentiamo. Trovate quindi sia un caso che il gruppo sia composto da sei persone?
Venimmo al piè d’un nobile castello,
sette volte cerchiato d’alte mura,
difeso intorno d’un bel fiumincello.
Questo passammo come terra dura;
per sette porte intrai con questi savi:
giugnemmo in prato di fresca verdura.
In questo castello Dante vede i nomi più importanti non solo della storia, della filosofia o della politica, ma anche della letteratura del momento. Qui è d’obbligo porci una domanda: perché Aristotele, Socrate, Platone, stanno nel Limbo, pur conoscendo o avendo parlato a loro modo di Dio?
Attenzione, perché Dante li mette comunque in una posizione privilegiata rispetto agli altri. Queste persone, infatti, seppur vissute prima del cristianesimo, non solo avevano una visione di Dio simile a quella trecentesca, ma credevano all’immortalità dell’anima (Platone e Socrate).
Aristotele per l’epoca era considerato come il maestro dei filosofi: “vidi ‘l maestro di color che sanno”. Ecco perché loro tre, assieme a Enea, Elettra, Ettore, Cesare, Pentesilea e tantissimi altri, stanno sì nel Limbo (per i motivi storici) ma abitano nel Castello degli spiriti magni. Poteva Dante, nel periodo storico in cui ha vissuto, metterli forse altrove?
Io non posso ritrar di tutti a pieno,
però che sì mi caccia il lungo tema,
che molte volte al fatto il dir vien meno.
Quando sta nel castello, Dante guarda ogni anima che vi risiede all’interno. Sono così tante che non può descriverle nei minimi particolari, o si dilungherebbe troppo e come ben sappiamo, c’è moltissimo altro da dire.
La sesta compagnia in due si scema:
per altra via mi mena il savio duca,
fuor de la queta, ne l’aura che trema.
E vegno in parte ove non è che luca.
A questo punto i sei si dividono e Dante segue Virgilio, scendendo verso il girone dei lussuriosi. Preparatevi, perché il canto V è sicuramente tra i nostri preferiti. Non vediamo l’ora di commentarlo.
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