Perché? Perché parliamo di suicidio. Di quella sensazione che attanaglia le persone, che le fa sentire perennemente con un cappio legato al collo. Il nodo invisibile che si stringe ogni giorno di più e che fa credere alla vittima di avere un’unica via d’uscita: la morte.
Chi si suicida è una vittima. Vittima di una società che ha imposto paletti e tappe. Cose da fare e da non fare per sentirsi appagato. Come essere, cosa comprare, cosa dire e quando fare per sentirsi felici. E di tutte quelle persone che forse inconsapevolmente, ma di sicuro con estrema ignoranza e poca empatia, chiedono quanto manchi al raggiungimento di un qualsiasi obiettivo.
“Quando ti laurei?”, “Ma quando farai un bambino?”, “Quando ti deciderai a trovare un lavoro serio?”, “Quando ti sposi?”, “Sei single?”. Quanti di noi si sono sentiti rivolgere queste domande? Noi spesso, e lo ammettiamo - come abbiamo già fatto in diversi articoli - abbiamo pensato, due di noi anche tentato, al suicidio. E proprio perché abbiamo accettato questa possibilità al nostro interno, che quando ci rivolgono le domande infanganti, diamo risposte incerte, vaghe, mentre la nostra mente è nel suo luogo felice e ignora totalmente la persona che ha davanti.
Domande come queste distruggono, uccidono. Le persone che le porgono sono aguzzini, come lo sono tutte quelle che: “Io alla tua età avevo già fatto questo”, “Io mi sono laureata in soli due anni”, “Io mi sono laureata, sposata, e ho trovato lavoro tutto nello stesso anno”. Bravi, bravissimi. Volete l’applauso? Bene, sappiate che siete colpevoli anche voi.
Domande come queste distruggono, uccidono. Le persone che le porgono sono aguzzini, come lo sono tutte quelle che: “Io alla tua età avevo già fatto questo”, “Io mi sono laureata in soli due anni”, “Io mi sono laureata, sposata, e ho trovato lavoro tutto nello stesso anno”. Bravi, bravissimi. Volete l’applauso? Bene, sappiate che siete colpevoli anche voi.
Vi sveliamo un segreto, che poi è il titolo di questo articolo: la vita non è una gara. Nessuno vi darà un premio se avete raggiunto certi obiettivi entro una certa età. Nessuno vi farà accedere all’Olimpo della bravura se avete preso una scelta piuttosto che un’altra. E solo l’andare a chiedere, o a ostentare ciò che avete fatto, dimostra una sola cosa: la vostra insicurezza su ciò che avete scelto di fare.
Siete così insicuri ma non avete il coraggio di ammetterlo, che avete bisogno di andare da un altro a decantare le vostre lodi. Ma voi non sapete cosa ha l’altra persona al suo interno. Non sapete quanto la state massacrando. Poi condividete i post con lo studente suicidato del giorno, vi chiedete come sia stato possibile che nessuno si fosse accorto del suo malessere. Magari lo conoscevate pure, era un vostro compagno di corsi, lo avevate su Facebook, e pochi giorni prima potreste avergli chiesto: “Ma ancora studi?”. Siete vittime e carnefici allo stesso tempo.
È ovvio che non stiamo qui a farvi la morale, a dirvi di non fare più domande del genere, ma dipende a chi le fate. Conoscete così bene una persona da permettervi di avere la certezza non si senta inferiore? Sfiduciato? Prigioniero dei tarli della sua mente? Perché invece di fare quelle domande assassine, non cominciate a chiedere: “Qual è il tuo sogno?”, “Cosa ti fa stare bene?” “Come ti senti?”, a tendere la mano dicendo: “Dimmi se ti senti oppresso da qualcosa, sono qui.”
Ci hanno insegnato che per essere felici dobbiamo raggiungere qualcosa. Che scemenza. La felicità è già dentro di noi, ed è fare quello che si vuole fare, quando si vuole fare. Persino a RadioSapienza diciamo in piena libertà che l’Università non è confinata solo a una certa età. Si può mollare, ricominciare dopo dieci anni. Si può persino iniziare in età più che adulta e si possono cambiare i corsi di studio ogni volta che si vuole.
Non c’è limite. Si può anche non fare, sapete? Si può essere integri, talentuosi e felici anche senza un pezzo di carta che testimonia quanto si è bravi. Perché è come fate ciò che fate che dimostra chi siete. Quanto amore c’è in ogni vostro gesto, quanta passione mettete nelle ore in cui lavorate.
Ci hanno insegnato che per essere felici dobbiamo raggiungere qualcosa. Che scemenza. La felicità è già dentro di noi, ed è fare quello che si vuole fare, quando si vuole fare. Persino a RadioSapienza diciamo in piena libertà che l’Università non è confinata solo a una certa età. Si può mollare, ricominciare dopo dieci anni. Si può persino iniziare in età più che adulta e si possono cambiare i corsi di studio ogni volta che si vuole.
Non c’è limite. Si può anche non fare, sapete? Si può essere integri, talentuosi e felici anche senza un pezzo di carta che testimonia quanto si è bravi. Perché è come fate ciò che fate che dimostra chi siete. Quanto amore c’è in ogni vostro gesto, quanta passione mettete nelle ore in cui lavorate.
“Meritocrazia: concezione della società in base alla quale le responsabilità direttive, e specialmente le cariche pubbliche, dovrebbero essere affidate ai più meritevoli, ossia a coloro che mostrano di possedere in maggiore misura intelligenza e capacità naturali, oltreché impegnarsi e riuscire produttivi nello studio e nel lavoro”
-Definizione data dalla Treccani
Davvero credete che la meritocrazia sia data dalla collezione di diplomi, lauree o attestati che si tengono incorniciati sul muro? Meritocrazia è sapere fare. Lo dimostrano i fatti. Si può scegliere un corso di laurea e scoprire di essere totalmente portati per altro. Allora? Quale sarebbe il problema?
E ripetiamo, stiamo parlando agli aguzzini, a chi pensa che “ormai è troppo tardi” e inconsciamente proietta questa falsa e stupida credenza anche sugli altri. No, non è mai troppo tardi. C’è sempre un’altra possibilità. Se un treno passa, si aspetta il prossimo senza alcuna conseguenza.
La vita non è una gara, ma non è neanche una corte marziale dove ci sono condanne eterne se non si fa qualcosa che gli altri dicono di fare. La vita è più un dono, un gioco, un’esperienza. È il fluire degli eventi, come l’acqua che scorre dalla sorgente al mare.
E ripetiamo, stiamo parlando agli aguzzini, a chi pensa che “ormai è troppo tardi” e inconsciamente proietta questa falsa e stupida credenza anche sugli altri. No, non è mai troppo tardi. C’è sempre un’altra possibilità. Se un treno passa, si aspetta il prossimo senza alcuna conseguenza.
La vita non è una gara, ma non è neanche una corte marziale dove ci sono condanne eterne se non si fa qualcosa che gli altri dicono di fare. La vita è più un dono, un gioco, un’esperienza. È il fluire degli eventi, come l’acqua che scorre dalla sorgente al mare.
Pensiamo un attimo se l’acqua avesse delle tappe, se si dovesse arrestare in un punto per poi riprendere, in attesa della prossima fermata. Non sarebbe più pura come la sua natura, ma diventerebbe sempre più stagnante, fino a perdere del tutto le sue proprietà.
Così siamo noi. Ogni volta che ci fermiamo perché “dobbiamo”, dove quel dobbiamo è dato dalla società e non da una nostra volontà, perdiamo qualcosa del nostro essere. Ogni volta che obblighiamo gli altri alla nostra vita, stiamo togliendo a loro la capacità di essere quello che sono.
Non dobbiamo dimostrare niente a nessuno, se non a noi stessi. E se proprio vogliamo provare agli altri qualcosa, mostriamo che tutto è possibile, che siamo noi a mettere determinati limiti ma soprattutto che finché c’è vita, non è mai troppo tardi per stare bene con se stessi.
Se vi sentite oppressi, potete inviarci dei messaggi sia su Instagram che su Twitter, ma soprattutto potete contattare il Telefono Amico, (02 2327 23 27, 02 2327 2328, o via web in modo totalmente gratuito) attivo tutti i giorni dalle 10:00 alle 00:00. Non abbiate paura, timore o vergogna di chiedere aiuto.
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