Con queste parole Keith Haring spiegò il suo concetto di arte, condivisibile, perché è anche giusto che tutti possano comprendere il significato di una data opera, anche senza dover per forza avere una laurea o aver studiato la storia dell’arte stessa. Considerato uno dei padri della Street Art, Haring nacque nel 1958 in Pennsylvania e sin da piccolo rimase affascinato dai lavori di Walt Disney, per lui fonte di ispirazione, anche se decisiva per la arte fu la produzione artistica di Andy Warhol e della sua pop art.
Gli omini di Haring sono famosi in tutto il mondo, linee spesse dai colori sgargianti con delle rappresentazioni che, nel suo essere semplici, nascondono spesso una denuncia sociale. Nelle sue opere troviamo i colori verde, giallo, rosso e blu, con delle linee di contorno sempre bianche o nere, ma non c’è mai alcun gioco di ombra e luci: sono i colori così come appaiono, senza prospettiva, tutto in “2D”. Malato di AIDS, denunciò il fatto che si tendesse a nascondere una malattia dilagante come quella, soprattutto nella comunità LGBQT, anche se per i vicoli della Grande Mela all’inizio degli anni '70 partì una sorta di “caccia all’untore”, quando dell’HIV si sapeva ancora pochissimo (Rebel with many Causes). L’America si faceva forza dell’idea, sbagliata, che “se non vedo, il problema non esiste” e Haring combattè le sue battaglie sia per far valere i diritti umani, sia perché venisse combattuto il silenzio e l’ignoranza verso l’AIDS. Non solo, il suo impegno sociale si vide anche nei rapporti con le droghe con un suo murales, “Crack is wack”, perché nella seconda metà degli anni ''80 stava girando per la città una droga a basso costo ma che mieteva davvero troppe vittime. Le linee sembrano far riferimento alla Guernica di Picasso.
Le
opere di Haring sono sparse in tutto il mondo e una la possiamo trovare anche
nella nostra bellissima penisola, a Pisa, dipinta sul muro esterno della Chiesa
di Sant’Antonio, dal titolo “Tuttomondo”. Si tratta di un intrigo di corpi che
si fondono tra loro, che si sdoppiano, in un messaggio di pace e felicità
universale, senza ostacoli. Al centro e in alto dell’opera ci sono quattro omini legati
insieme, in un chiaro richiamo al simbolo di Pisa. Si tratta del suo inno alla
vita e riuscì a terminare l’opera poco prima della sua morte, avvenuta
prematuramente nel 1990, a soli trentuno anni, perché da tempo malato di Aids.
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