Nel catalogo di Netflix al momento ci sono due serie tv molto chiacchierate: sto parlando di “La Regina degli scacchi” (che abbiamo recensito qui) e “Emily In Paris” e dato che della prima abbiamo già parlato, oggi vorrei concentrarmi sulla seconda.
“Emily in Paris” è la classica commedia romantica dalle situazioni al limite del surreale. La trama è quanto più possibile semplice: una ragazza di Chicago, Emily appunto, lavora per un’importante agenzia di marketing e si trasferisce per un anno nella sede parigina per importare le strategie americane in Francia.
Nel titolo parlavo di “cliché” perché ci troviamo davanti al classico caso dell’americana nella città “dell’amore”, con la differenza che la protagonista (interpretata da Lily Collins) non parla una parola di francese. Inizialmente disprezzata da tutti e da un capo che sembra la brutta e mal riuscita copia di Miranda Priestley de “Il Diavolo Veste Prada”, ci troviamo davanti ad un personaggio che sembra avere solo pregi: è carina, continuamente sorridente e nessuno riesce sul serio a metterle i piedi in testa. Lati ombra? Nessuno.
Una “Marie Sue” in pratica: si attiene in tutto e per tutto ai clichè letterari più comuni, voltati all’eccesso e priva di difetti considerevoli. Il problema sono sempre gli altri e l’idea che lascia è che il popolo parigino sia profondamente sgarbato. Ovviamente la cosa non è passata inosservata e ha suscitato, infatti, non poche polemiche dalla parte dei francesi. La sua vita è costellata da situazioni equivoche in cui tutti sembrano volerci provare con lei, alcuni addirittura al limite delle molestie.
Non ha amicizie importanti, eppure risulta simpatica a chiunque al di fuori del suo ufficio. Conosce Mindy (Ashley Park) mentre pranza da sola su una panchina, figlia del maggior imprenditore di zip cinese, ma che preferisce essere libera e lavorare come tata a Parigi. Parlano due minuti e subito diventano indispensabili l’una per l’altra. Non manca ovviamente l’elemento romantico, il suo interesse altalenante per il suo vicino di casa, Gabriel (Lucas Bravo), l’affascinante cuoco del ristorante in cui Mindy ed Emily vanno per la prima volta a cena insieme. Ovviamente la protagonista è bellissima, quindi il suo interesse viene subito ricambiato. Nonostante tutto, però, Gabriel è fidanzato e la ragazza, ignara di tutto, diviene anch’essa amica e confidente di Emily. Poteva mancare il clichè della protagonista divisa tra amore e amicizia? Certamente no.
“Emily in Paris” ha lo stesso ideatore di “Sex & The City”, Darren Star. Se avete mai seguito la serie, ricorderete che nell’ultima stagione Carrie Bradshaw (Sarah Jessica Parker) ha la sua fuga romantica a Parigi con il curatore d’arte Petrovsky. Bene, la storia di Emily si avvicina a quella della sua controparte adulta, ma se per Carrie l’interesse romantico ha un senso, per la nostra protagonista no. La vediamo struggersi e combattere un amore esattamente come Carrie è combattuta per Mr. Big, ma se la storia di questi ultimi due aveva un senso per i loro tira-e-molla durati ben sei anni, Emily che si strugge d’amore per il suo Gabriel rende ancora più patetica la sua storia personale. Sembra un personaggio che di buono ha solo l’essere sempre solare, senza una vera personalità che invece caratterizzava le quattro donne di "Sex & The City". Il confronto fra le due, appassionate di moda, sembra inevitabile. Carrie era appassionata dai film ambientati a Parigi e almeno qualche frase riusciva a dirla, senza dover continuamente supplicare per una traduzione, Emily d’altro canto nella prima puntata sembra solamente in grado di dire “oui” (sì).
Elemento importante è sicuramente quello social, anch’esso estremizzato, al punto che Emily diventa influencer semplicemente aprendo un profilo instagram dal nome “emilyinparis” e postando delle sue semplici foto a Parigi (cosa che fanno praticamente tutti quando vanno anche solo in vacanza in una nuova città).
So benissimo di essermi dilungata su critiche poco lusinghiere, “Emily in Paris” incarna la serie senza troppe pretese, quella da seguire sia per l’”hatewatching” (il guardarla solo per odiarla) o perché si cerca qualcosa di non troppo pesante ed elaborato, qualcosa che accompagna le nostre giornate mentre facciamo altro. È leggera, divertente, che magari (se non consideriamo i vari clichè) fa anche staccare quando tutto fuori non sembra propriamente roseo. Nonostante i contrasti, inoltre, Netflix ha annunciato un seguito. Non sarà un capolavoro, ma dopotutto anche noi italiani veniamo sempre stereotipati ed estremizzati nelle rappresentazioni americane, no? Chissà se i francesi chiuderanno un occhio come facciamo sempre noi.
“Emily in Paris” è la classica commedia romantica dalle situazioni al limite del surreale. La trama è quanto più possibile semplice: una ragazza di Chicago, Emily appunto, lavora per un’importante agenzia di marketing e si trasferisce per un anno nella sede parigina per importare le strategie americane in Francia.
Nel titolo parlavo di “cliché” perché ci troviamo davanti al classico caso dell’americana nella città “dell’amore”, con la differenza che la protagonista (interpretata da Lily Collins) non parla una parola di francese. Inizialmente disprezzata da tutti e da un capo che sembra la brutta e mal riuscita copia di Miranda Priestley de “Il Diavolo Veste Prada”, ci troviamo davanti ad un personaggio che sembra avere solo pregi: è carina, continuamente sorridente e nessuno riesce sul serio a metterle i piedi in testa. Lati ombra? Nessuno.
Una “Marie Sue” in pratica: si attiene in tutto e per tutto ai clichè letterari più comuni, voltati all’eccesso e priva di difetti considerevoli. Il problema sono sempre gli altri e l’idea che lascia è che il popolo parigino sia profondamente sgarbato. Ovviamente la cosa non è passata inosservata e ha suscitato, infatti, non poche polemiche dalla parte dei francesi. La sua vita è costellata da situazioni equivoche in cui tutti sembrano volerci provare con lei, alcuni addirittura al limite delle molestie.
Non ha amicizie importanti, eppure risulta simpatica a chiunque al di fuori del suo ufficio. Conosce Mindy (Ashley Park) mentre pranza da sola su una panchina, figlia del maggior imprenditore di zip cinese, ma che preferisce essere libera e lavorare come tata a Parigi. Parlano due minuti e subito diventano indispensabili l’una per l’altra. Non manca ovviamente l’elemento romantico, il suo interesse altalenante per il suo vicino di casa, Gabriel (Lucas Bravo), l’affascinante cuoco del ristorante in cui Mindy ed Emily vanno per la prima volta a cena insieme. Ovviamente la protagonista è bellissima, quindi il suo interesse viene subito ricambiato. Nonostante tutto, però, Gabriel è fidanzato e la ragazza, ignara di tutto, diviene anch’essa amica e confidente di Emily. Poteva mancare il clichè della protagonista divisa tra amore e amicizia? Certamente no.
“Emily in Paris” ha lo stesso ideatore di “Sex & The City”, Darren Star. Se avete mai seguito la serie, ricorderete che nell’ultima stagione Carrie Bradshaw (Sarah Jessica Parker) ha la sua fuga romantica a Parigi con il curatore d’arte Petrovsky. Bene, la storia di Emily si avvicina a quella della sua controparte adulta, ma se per Carrie l’interesse romantico ha un senso, per la nostra protagonista no. La vediamo struggersi e combattere un amore esattamente come Carrie è combattuta per Mr. Big, ma se la storia di questi ultimi due aveva un senso per i loro tira-e-molla durati ben sei anni, Emily che si strugge d’amore per il suo Gabriel rende ancora più patetica la sua storia personale. Sembra un personaggio che di buono ha solo l’essere sempre solare, senza una vera personalità che invece caratterizzava le quattro donne di "Sex & The City". Il confronto fra le due, appassionate di moda, sembra inevitabile. Carrie era appassionata dai film ambientati a Parigi e almeno qualche frase riusciva a dirla, senza dover continuamente supplicare per una traduzione, Emily d’altro canto nella prima puntata sembra solamente in grado di dire “oui” (sì).
Elemento importante è sicuramente quello social, anch’esso estremizzato, al punto che Emily diventa influencer semplicemente aprendo un profilo instagram dal nome “emilyinparis” e postando delle sue semplici foto a Parigi (cosa che fanno praticamente tutti quando vanno anche solo in vacanza in una nuova città).
So benissimo di essermi dilungata su critiche poco lusinghiere, “Emily in Paris” incarna la serie senza troppe pretese, quella da seguire sia per l’”hatewatching” (il guardarla solo per odiarla) o perché si cerca qualcosa di non troppo pesante ed elaborato, qualcosa che accompagna le nostre giornate mentre facciamo altro. È leggera, divertente, che magari (se non consideriamo i vari clichè) fa anche staccare quando tutto fuori non sembra propriamente roseo. Nonostante i contrasti, inoltre, Netflix ha annunciato un seguito. Non sarà un capolavoro, ma dopotutto anche noi italiani veniamo sempre stereotipati ed estremizzati nelle rappresentazioni americane, no? Chissà se i francesi chiuderanno un occhio come facciamo sempre noi.
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