giovedì 10 dicembre 2020

#Cinema&SerieTv: Humanity - Recensione

Comico, attore, sceneggiatore, regista, presentatore e doppiatore.

Gli amanti della serie TV The Office (2001-2003), sapranno molto probabilmente che Ricky Gervais non è stato solo il volto di David Brent, uno dei protagonisti della famosa serie britannica, ma anche uno degli ideatori della stessa, insieme a Stephen James Merchant.

Possiamo trovarlo, per citare solo alcuni dei programmi più famosi, in Alias (2001-2006) di J.J Abrams, ideatore di Lost e Fringe, in Louie (2010-2015) di Louis C.K., che è sceneggiatore, regista, ideatore, attore e montatore della serie, in Sesame Street (1969-oggi) ideata da Joan Ganz Cooney e LIoyd Morrisett e in The Office USA (2005-2013) ideata da Greg Daniels.

È il Dr. McPhee di Una notte al museo (2006), Una notte al museo 2 (2009) e Notte al museo - il segreto del faraone (2014) diretti da Shawn Levy, è sceneggiatore della quindicesima puntata della diciassettesima stagione de I Simpson (1989-oggi), "Homer Simpson, questa è tua moglie", ed è la voce di Charles Heathbar nella puntata da lui scritta de I Simpson.
Nei Griffin (1999-oggi) possiamo riconoscere la sua voce nel delfino parlante Billy Finn, nel quattordicesimo episodio della decima stagione ("Attento a quello che desideri") e per finire, nell'adattamento cinematografico del 2015 del Piccolo Principe, Gervais è la voce del vanitoso.

Da amanti della stand-up comedy noi di 4Muses non potevamo non parlare del suo spettacolo rilasciato su Netflix il 13 Marzo 2018: Humanity.
Il vero e proprio monologo parte con una riflessione scaturita da una shitstorm (tempesta di merda) di cui il comico britannico è stato vittima su Twitter dopo aver ricoperto il ruolo di presentatore ai Golden Globes del 2016.

"Tranquilli, stasera sarò gentile. Sono cambiato, anche se non quanto Bruce Jenner"

Questa è stata la battuta presa di mira dal pubblico, e se non riuscite a collegare e a capire cosa ci dovrebbe essere teoricamente di anche vagamente offensivo, forse è il momento di dare giusto due informazioni su Bruce Jenner.
Nato William Bruce Jenner il 28 Ottobre 1949, padre delle famose Kendall e Kylie Jenner e campione olimpico di decathlon ai giochi di Montréal del 1977, nell'Aprile del 2015 annuncia di essere una donna transgender e si presenta al mondo come Caitlyn Jenner.

Nel monologo dei Golden Globes, Gervais continua: "Ora Caitlyn Jenner, ovviamente. Che anno ha avuto! È diventata un modello per tutte le persone trans, buttando giù coraggiosamente barriere e stereotipi. Non ha fatto molto per le donne al volante, ma non si può avere tutto" (riferendosi all'incidente in cui la Jenner è stata coinvolta nel 2015)" .
Si dice che la malizia sia negli occhi di chi guarda, e così noi di 4Muses pensiamo anche che la malizia sta nelle orecchie di chi ascolta.
La battuta, per quanto sia stata additata come transfobica, oggettivamente non è offensiva.
Espone dei semplicissimi dati di fatto, e non prende di mira in alcun modo la Jenner o nessuna delle persone transgender.
Inoltre il palese problema della collettività non è tanto la persona che si offende, quanto la persona che si offende e crea shitstorm semplicemente perché non sa guardare le cose dall'esterno nel momento in cui si trova toccata nel personale.
Si torna sempre al problema del politicamente corretto, e come sempre si torna a dire che il popolino (nel 2016 da molti sono state definite così le persone che se la sono presa) dovrebbe imparare a essere un po' meno delicato e chiuso di mente, e un po' più incline a farsi esami di coscienza.
Non è vero, in fondo, che se ce la prendiamo per qualche cosa è perché quella cosa in realtà l'abbiamo - anche inconsiamente- dentro di noi?
Fare una battuta sulle persone di colore, la comunità LGBTQ+, le donne, i disabili e in generale su qualsiasi cosa, non rende quella battuta automaticamente offensiva e razzista/omofoba/misogina, perché dipende semplicemente dal contesto.

"Le persone dicono sempre che è da egoisti non avere figli. [...] i bambini sono dei parassiti fin dal primo giorno, gira tutto intorno a loro. [...] Mio figlio nascerebbe incredibilmente ricco, per cui sarebbe uno stronzo. Uno stronzetto di Hampstead che gira con tutte le altre testoline di cazzo. [...] Sarebbe ben consapevole di quello che è: uno stronzo. Sì, lo sappiamo, lo sanno tutti.
Per contro, saprebbe che non potrà mai essere all'altezza del padre. Gli direi: 'ho costruito tutto dal nulla, tu sei solo uno stronzetto fannullone' e gli sconquasserebbe un po' la testa. 
A undici, dodici anni sarebbe una peste con le compagnie sbagliate, costretto a vivere nella mia ombra.
Si rifugerebbe nelle droghe, a trent'anni morirebbe di overdose. Lì, in preda alle convulsioni e vomitando, con quella vocina snob del cazzo, stridula e morente, le sue ultime parole sarebbero: 'Ora mi vuoi bene, papà?'. No, no, non te ne ho mai voluto. Per questo non nascerai mai."

Questa è senza dubbio la parte più bella dello spettacolo.
Ci vuole coraggio a pronunciare delle parole così forti, così come ci vuole coraggio, tanto coraggio ad ammettere a sé stessi e al mondo intero, che non si è portati per fare il genitore. Dire apertamente una frase come "non ti ho amato, ed è per questo che non nascerai mai", sembra utopico per tantissime persone, eppure è così.
Ovvio che un figlio si ama.
Ovvio che per un figlio si darebbe la vita.
Ovvio anche che si mette sempre il suo bene al primo posto.
Se lo si vuole, però. Perché se un figlio non lo si vuole, amarlo non è affatto scontato.

Potremmo continuare a parlare di questo argomento? Assolutamente sì. Abbiamo intenzione di farlo? Assolutamente no.
Sappiamo che dire più del necessario è completamente fuori luogo, e crediamo fortemente nel non forzare i concetti. Chi vuol capire, capirà. Chi non vuol capire, rimarrà della sua idea e in qualsiasi caso, va benissimo così.

"Humanity" è uno spettacolo che tratta una varietà di argomenti vastissimi, e soprattutto fa ragionare e pensare, ma lo fa mentre ti fa ridere a crepapelle.
E questa è una delle cose migliori che possano esistere.


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