Chi non ha mai sognato di poter fare il lavoro dei propri sogni in una nuova città? Magari proprio in una delle città considerate tra le più romantiche? Vivere una nuova avventura, trasferirsi dall’altra parte del mondo, mettersi in gioco per poter cercare di dimostrare quanto si vale. Tutto bellissimo, sulla carta, se non fosse che si possa eccedere un po’ e cadere nel pressapochismo. Questo è il caso di Emily in Paris, serie tv Netflix che vede Lily Collins nei panni dell’americanissima protagonista. Chi meglio della Collins poteva essere scelta per poter adempiere a tale ruolo? Del resto lei è stata a lungo il volto della Lancome.
Questa serie, come stavamo dicendo, sulla carta sembrerebbe avere tutte le carte in regola per poter entrare a pieno diritto nei nostri Must To Watch, ma in realtà è un grande no.
Emily si trasferisce a Parigi, senza conoscere la lingua, perché il suo capo è impossibilitato ad accettare il lavoro perché poco prima della partenza ha scoperto di essere incinta. Stiamo parlando di un lavoro nel campo del marketing, quindi gestione dei social e delle campagne pubblicitarie per i brand che decidono di avvalersi del servizio offerto. Rinunciare ad un anno a Parigi per una gravidanza sembra solo il deus ex-machina per poter far in modo che una ragazza senza troppe competenze potesse avere la scusa per potersi trasferire. Come già detto, infatti, Emily non conosce una sola parola di francese e ciò, ovviamente, non serve ad altro se non a sottolineare uno dei più grandi stereotipi che coinvolge il popolo dell’ex-Gallia: la puzza sotto il naso. Lei non parla la lingua e nessuno ha voglia di scendere a patti con lei. Lei mostra un certo grado di indifferenza nei confronti della cultura che sta andando a conoscere, e di conseguenza quella stessa cultura si mostra ostile nei suoi riguardi.
Senza eccedere con le anticipazioni, per potervi permettere di godere del trash di questa serie tv, cerchiamo di analizzarla dal punto di vista tecnico e non della trama. Anche perché il tutto si basa sulla fortuna sfacciata e sull’incredibile. Credevamo di aver messo play a una serie tv romantica e realistica non a qualcosa di surreale.
La serie, dunque, non fa tanto mistero sul cosa voglia raccontare e sul dove voglia andare a parare. Le cose accadono per una ragione e questa ragione è la caratterizzazione stessa di Emily. Se certe cose non accadessero lei non avrebbe l’opportunità di mettersi in mostra e di poter sfoggiare la sua innata fortuna. È talmente tanto intelligente da poter pensare strategicamente a delle soluzioni per il suo lavoro, ma non riesce a contare le rampe di scale che deve fare per poter salire nel proprio appartamento. Raccatta followers neanche fosse la Chiara Ferragni di adesso e raggiunge un livello di interazione con i personaggi che la circondano davvero imbarazzante.
A lavoro vive un costante Eva contro Eva, sinceramente stancante e deludente nel 2020, ma almeno Sylvie è uno dei pochi personaggi che abbia senso di esistere in questa serie. Non si comprende benissimo se lei sia il capo oppure no, non ci viene spiegato e la cosa viene accennata solo quando si deve mettere Emily davanti a una difficoltà da dover superare.
Lei è la classica Mary Sue; e con questa definizione potremmo smettere di parlar qui di questa serie. Lei bellissima, okay è la Collins, ma attira uomini più quanto un fiore attiri un’ape.
Sarebbe stato bello veder adoperare, in una serie del genere, una fotografia più tipica dei film francesi, proprio per poter cercare di respirare l’aria di Parigi. Anche se questo mette ulteriormente in evidenza quando è il punto di vista quello ad essere centrale nella narrazione, anche se esso si sposta quando è necessario per poter strizzare l’occhio al pubblico.
Vengono, inoltre, trattate tematiche importanti quali: il desiderio femminile e maschile, la voglia di fare carriera, ma anche la sensualità e il sessismo. Tutte tematiche, tranne la carriera, che vengono trattate con fin troppa superficialità perché si deve cercare di dare carattere a un personaggio che altrimenti carattere non avrebbe.
Stereotipi sui francesi, americani intelligentissimi e fortissimi, sensualità, sessismo e cliché che si susseguono in una serie che sembra avere la voglia di usare le stesse tematiche già viste in serie televisive come Sex & The City (il cui regista è lo stesso autore della serie) per poterlo mescolare al luogo di lavoro di Ungly Betty.
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