Sarà capitato anche a voi di accendere la tv o di accedere al palinsesto di Netflix e di essere colti dalla curiosità nel vedere i primi istanti del trailer del film “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose”. A noi di 4Muses è capitato e, affascinate, non abbiamo potuto fare a meno di premere play, attratte anche dall’ideologia che un po’ imbastiva la storia.
Siamo a Bologna, nel 1967, e il neo-abilitato ingegnere Giorgio Rosa (Elio Germano) decide di seguire una straordinaria idea. Un po’ per amore, un po’ per testardaggine, inizia a ideare letteralmente la sua isola felice. In un primo momento, sconfitto da chi nella vita gli dice e lo intima a essere “normale”, accetta di prendere incarico il compito di ingegnere a Monza. Lì, però, ha la vera illuminazione. Fermatosi in mezzo alla pista, durante una gara di ciclo motori, vede il cartellone pubblicitario delle piattaforme di trivellazione che avevano iniziato a sondare le coste alla ricerca di petrolio. L’aiuto del suo fidato compagno di studi è quanto mai fondamentale, Maurizio Orlandini (Leonardo Lidi) sarà colui che gli fornirà il materiale e la mano d’opera per poter dare il via a questa loro incredibile impresa. Viene, così, fondato nel maggio del 1968, lo stato indipendente della Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose; un basamento di acciaio e cemento posto a 500 metri al di fuori della costa italiana, in acque internazionali. 400 m2 che vennero considerati come una vera e propria micronazione e che costituiscono il primo vero e proprio caso di invasione dell’esercito italiano nei confronti di un paese estero.
La cosa davvero curiosa è quanto questa sia una storia vera. Di certo, di quegli anni, non si ricorda la nascita di una micronazione quando tutte le università erano occupate dagli studenti riottosi che cercavano di battersi per i propri diritti.
La straordinaria storia dell’Isola delle Rose, infatti, porta alla luce un pezzo di storia del nostro paese completamente dimenticata. Del resto siamo un paese dalla memoria corta e questo non fa altro che dimostrarlo. Il film accende i riflettori su un’ideologia, una volontà, un’utopia venuta fuori per sfida. Mette in luce la mente di Giorgio Rosa e anche la tenacia con la quale lui e gli altri cittadini dell’isola vollero battersi per il proprio paradiso in terra. Un posto senza regole, eppure ben autogestito che diviene quasi un po’ l’eco dei moti studenteschi avvenuti proprio in quello stesso anno e che la storia ci rammenta.
Ovviamente questa storia non fa altro che mostrare una storia di Pirati nostrani, dei fuori legge che cercarono di attaccare l’entità dello Stato e tutto ciò che ne conseguiva. Se non si hanno degli ideali liberali è quasi difficile che possa venir in mente l’idea dei poter costruire un’isola in mezzo al nulla solo poter avere il proprio porto franco. Una Tortuga in cui tutto è concesso, un luogo amorale in cui persino la Chiesa non poteva arrivare. Un basamento di cemento che raccoglieva randagi da un po’ tutti i porti. Un’ideale che ovviamente non è morto con l’affossamento dell’isola, i cui resti tra le altre cose sono ancora nel mare della costa davanti a Rimini.
Il film di Sydney Sibilla romanza e fa sognare il suo pubblico facendolo sorridere e meravigliare davanti a questo spezzone della storia italiana. Tralascia gli aspetti politici, idealizza anche i rischi che vi sarebbero stati per il nostro governo nel permettere che ciò potesse continuare ad andare avanti. Sorvola sulla minaccia, perché alla fine si rivolge a un pubblico molto più affascinato dai pirati che da chi le regole le fa e dovrebbe rispettarle, anche perché si parla di un governo che nel mentre doveva cercare di risolvere le situazioni con le università e che quindi non poteva permettersi che questa micronazione potesse essere davvero riconosciuta dall’ONU. Non va neanche dimenticato che proprio le Nazioni Unite, grazie a questo episodio, per evitare che si potesse ripetere, spostarono i confini delle acque territoriali.
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