martedì 25 agosto 2020

#Musica: Eleanor Rigby

Noi di 4Muses abbiamo già affrontato molti temi, tra i cui quello della solitudine. Data la differenza d’età che c’è tra noi, abbiamo vissuto più o meno in modo distaccato i social. In un’era dove tutti siamo connessi, dove tutti parlano con tutti quando vogliono, siamo davvero in contatto o continuiamo a provare il senso di solitudine?

I sentimenti negativi sono campanelli d’allarme che ci manda la mente per dirci che c’è qualcosa che non va. In questo secondo decennio del duemila, capita spesso che scorrendo le storie su Instagram, o leggendo dei post su Facebook, inizi a muoversi qualcosa nel nostro interno.

Non sempre in modo positivo, spesso posiamo il telefono pensando: “E perché a me non succede?” o: “Perché io non ho questo?

A volte si cerca di risolvere con “smetti di seguire”, ma ormai il danno è fatto, il messaggio è stato recepito, l’input è stato mandato al cervello e il senso di paragone la fa da padrone. 

"Eleanor Rigby, picks up the rice/in the Church where a wedding has been."

Paragoniamo la nostra vita con quella degli altri, come una finestra sul mondo, così i nostri occhi sullo schermo vedono una vita di altri che noi non vivremo mai. La assaporiamo, la visualizziamo, e quando ad occhi aperti non l’abbiamo, cadiamo nello sconforto. Ci sentiamo inferiori, ci intristiamo, sminuiamo il bello che già abbiamo.

"Waits at the window, wearing the face/that she keeps in a jar by the door/Who is it for?"

Restiamo in attesa, aspettando che qualcosa cambi anche per noi e pensando a quale maschera indossare quando abbiamo il coraggio di uscire. Perché ormai, non si esce più davvero. Si condivide, non importa cosa: può essere un meme, un pensiero, ciò che stiamo facendo. Eppure, ci avete mai fatto caso che quando state veramente bene, non pubblicate nulla? 

Quando fate ciò che volete, non sentite il bisogno di farci una storia. Quando siete consapevoli di ciò che state facendo, non nasce in voi il bisogno di far sapere cosa o con chi state mangiando.

"Father McKenzie, writing the words/of a sermon that no one will hear/no one comes near"

Vi siete mai chiesti chi legge sul serio i vostri post? A chi arriva il messaggio, e soprattutto se arriva quello che volevate voi? Potrebbe sembrare un controsenso, visto che siamo qui, online, a scrivere i nostri pensieri, lo ammettiamo. Ma proprio perché ognuno di noi ha qualcosa da dire, sarebbe importante fermarsi un attimo a pensare sull’importanza delle nostre parole. 

"Eleanor Rigby, died in the Church/and was buried along with her name/nobody came/Father McKenzie, wiping the dirt/from his hands as he walks from the grave/no one was saved"

Ma il problema è davvero lo strumento social? No, è l’utilizzo che se ne fa. Non realizziamo che ciò che scriviamo è solo una nostra opinione, un piccolo angolo di realtà in questo immenso universo che appartiene solo a noi. È la nostra verità.
 

"All the lonely people/Where do they all come from?/All the lonely people/Where do they all belong?"

E a volte, guardando un cielo stellato d’estate, magari ascoltando i Beatles, è bene ricordarcelo: tutti noi, persone sole, a chi apparteniamo?

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