Felix
Nussbaum, Uomo con foglia appassita, 1941
Presso Yad Vashem Art Museum, Jerusalem |
Corre l'anno 2020. È appena iniziato quando il Coronavirus
impazza. Tutti dentro: Lockdown!
Arriva Aprile (se non sbaglio),
qualcosa riapre, spifferi per far circolare aria e ossigeno. Ed ecco alcune
timide librerie aprire le serrande.
Appena possibile mi reco in via
Pavia, a Roma, nella mia libreria di fiducia, indipendente, luogo di incontri
belli, porto, faro e scrigno.
Libri, libri, libri. Ho una
lista breve, ma varia che spazia dall'arte alla fisica teorica.
Ed ecco che l'occhio cade su
questo libricino, da solo.
"Chiamerò la Polizia": è il
titolo a colpirmi più che la copertina. L' autore, Irvin Yalom, arriva
dopo.
Quante notizie in quei giorni
di forze dell'ordine chiamate a dissolvere assembramenti intorno a griglie del
barbecue o a mazzi di carte giocati nel parco. Come se lo sguardo del
vicino di balcone che prima cantava in alcuni casi si fosse trasformato
in uno che contava il numero di persone e la distanza tra le
stesse.
Sono l'affetto e la fiducia che
tengono in piedi questo libro, a mio avviso, grazie a due amici di vecchia data
e alla scrittura semplice senza fronzoli.
Entrambi medici, entrambi
lavorano con i cuori: cardiochirurgo l'uno, dottore dei cuori infranti l'altro.
È sera. Facoltà di medicina. Cinquantesimo anniversario di laurea. Il banchetto
sta per volgere al termine e il sipario si apre su una notte di narrazioni
aperte che avvicinerà i due amici, il giorno e la notte, luci ed ombre come mai
prima, nella loro relazione. 'Chiamerò la polizia', la frase scintilla.
A volte sfondo, a volte
protagonisti, in un gioco di continua messa a fuoco l'olocausto, la memoria, i
demoni del passato, uno scambio di doni e il potere chirurgico delle parole che
abitano il luogo della loro relazione.
Forse più un racconto autunnale,
ma piacevole anche per una giornata d'agosto, dove il tempo è rarefatto e il
cielo un po' coperto. Un racconto d'ascoltare più che da leggere.
Articolo di Erika Delvento
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