Licantropi e vampiri
non sono creature immaginarie tipiche degli altri Paesi europei, né hanno
origine recente. Affondano le loro radici già nell’antica Grecia, passando poi
per la cultura Romana.
I vampiri, per i Romani,
erano una sorta di demoni donne che si dividevano in lame ed empuse.
Le prime rapivano e
uccidevano i neonati, strappandoli dalle braccia della madre. Erano streghe
attirate dalla morbidezza della loro carne, dalla purezza del sangue, ma
soprattutto dal dolore che la perdita avrebbe provocato alle madri.
Il nome deriva da
Lamia, figlia del re di Libia Belo, e una delle tante amanti di Zeus. La dea
Era era abituata ai tradimenti del marito, ma non tollerava che le amanti gli
dessero dei figli. Alla notizia del parto di Lamia, Era scatenò la sua ira sui
bambini appena nati, strangolandoli. Si salvò solo Scilla. Da quel momento
Lamia impazzì dal dolore e divenne gelosa tutte le madri felici. Si trasformò
in un mostro, con il compito di divorare i bambini appena nati, godendo per le
urla strazianti delle madri.
Empusa, figlia di
Ecate, invece, si divertiva a terrorizzare i viandanti. Rapiva i bambini solo
per passatempo, ciò che l’attirava maggiormente era il sangue dei giovani, sia
uomini che donne. Amava il sangue vergine: quello che conosceva il peccato ma
che non lo aveva ancora commesso.
Cacciava le ragazze per
le strade, studiava le malcapitate e le seguiva per le vie buie. Amava i loro
pianti e le loro suppliche, le ascoltava e le stuzzicava, dando loro la
speranza di potere avere salva la vita. Quando la vittima era sollevata, però,
lei colpiva in modo atroce.
Quando doveva cacciare
i ragazzi, Empusa si fingeva preda: prendeva le sembianze di una giovane donna
sensuale, e ammirava gli sforzi dei ragazzi che si impegnavano nel
conquistarla. Lei stava molto sulle sue, sciogliendosi piano piano e quando
loro cominciavano a esultare per la vittoria, lei li divorava e beveva il loro
sangue.
I licantropi, per i
romani, erano invece maschi. Ne parla già Petronio nel Satyricon, dove racconta
la storia di un soldato che si trasforma in lupo mannaro e durante la notte fa
strage di pecore.
In epoca medievale,
invece, era il diavolo a trasformare streghe e stregoni in licantropi che poi,
successivamente alla loro morte, sarebbero diventati vampiri.
La licantropia, per gli
antichi, era associata alla malattia mentale. Sono diversi i racconti romani di
persone affette da questo disturbo, tra le più recenti troviamo quella della
lupa di Posillipo, datata anni Cinquanta.
Iolanda Pascucci
soffriva di questo male dall’età di dodici anni. Durante le notti di luna piena
la sua gola si seccava, provava un forte impulso di bere, gli occhi le uscivano
dalle orbite, il volto diventava mostruoso e le urla gutturali non sembravano
appartenere alla sua persona.
Crescendo, le crisi
divennero sempre più rare, tanto che in età adulta le considerò un lontano
ricordo di un’adolescenza difficile. Si sposò con un musicista ed ebbe due
figli. Le crisi ricominciarono quando essi divennero grandi. Lei passava le
notti di luna piena lontano da casa per non spaventarli.
Fu sottoposta a esami e
cure, al trattamento in manicomio, ma nulla sembrò risolvere la situazione. Quando
si accorse che era abbandonata al suo destino, decise di lasciare la famiglia
scappando a Napoli, facendosi dimenticare presto da tutti.
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