Immaginatevi una ragazzina di 6 anni che in macchina con il padre, la madre e le sorelle ascolta per la prima volta questa canzone e ne comprende da subito il testo.
Traumatizzata all'istante.
Ecco, ora immaginatevi che quella ragazzina non ha ascoltato questa canzone per tredici anni per la paura di sentire di nuovo quelle parole.
Vorrei poter dire di star esagerando, ma in realtà sono estremamente seria. Per anni, infatti, già dalle prime note della canzone mi ritrovavo a scappare via a gambe levate, talvolta anche accanendomi sul povero malcapitato che si ritrovava a voler ascoltare questo gioiello di canzone.
Avrei successivamente capito il perché provavo questo tipo di rifiuto categorico verso questa canzone, più o meno quattordici anni dopo.
E quando parlo di "quattordici anni dopo", parlo esattamente dell'8 Marzo 2020.
Parlare di musica è bellissimo, ma parlare di musica con una persona che ti costringe ad eviscerare il perché e il per come delle cose è ancora più bello, ed è stato proprio durante un viaggio in macchina in cui io e L. (non scriverò il nome completo per ragioni di privacy) ci avviavamo verso Ostia che ho capito per la prima volta il vero motivo per cui avevo iniziato e continuavo a provare tanta avversione per questo brano.
"Un uomo onesto, un uomo probo s'innamorò perdutamente d'una che non lo amava niente.
[...]
Gli disse lei ridendo forte, gli disse lei ridendo forte, l'ultima tua prova sarà la morte.
E mentre il sangue lento usciva e ormai cambiava il suo colore, la vanità fredda gioiva.
Un uomo s'era ucciso per il suo amore."
Sono stata per anni il protagonista innamorato di cui parla De André nella canzone.
Non solo in amore, ma in tutti i tipi di relazione in cui mi sia mai imbattuta dall'infanzia fino ai miei 18 anni e non credo che la mia situazione sia fuori dal comune o strana.
Il mondo è pieno di relazioni in cui una delle due parti si annulla e annienta completamente, sono ovunque e sotto gli occhi di tutti. Molti possano far finta di niente, che non sia così, ma non si può scappare di fronte all'evidenza e non credo che la questione si possa riassumere in "tu che ti sei fatto manipolare sei un debole, ed è colpa tua".
È da infantili pensare che una persona possa essere solo o bianco o nero e nella vita prima o poi dovremmo scendere a patti con il pensiero che nessuno di noi sarà mai solo intelligente o solo stupido, solo buono o solo cattivo, solo vittima o solo carnefice, solo debole o solo forte.
Si pensa sempre a criticare e giudicare chi si permette di mostrarsi in determinati stati, chi ammette di non potercela fare, chi abbassa la testa e dice "mi sono sentito e mi sento ancora un miserabile", ci si gira dall'altra parte di fronte ad una richiesta di aiuto, ed è proprio di fronte all'indifferenza e talvolta alla cattiveria delle persone a cui ci rapportiamo ogni giorno che finiamo per rimanere ancora più incastrati i certi rapporti malati che sì, a lungo andare portano alla morte.
Ma comunque anche avendo detto tutto ciò, come possiamo essere veramente sicuri che a sua volta anche la controparte in queste storie alla fine sia semplicemente un carnefice? Non possiamo mai esserne del tutto sicuri.
Abbiamo tutti i nostri traumi del passato più o meno grandi, tutti abbiamo sofferto e come anche una vittima potrebbe aver ricoperto il ruolo del carnefice, anche un carnefice potrebbe essere stato a sua volta una vittima.
Mai dare per scontato niente.
"Viviamo in un'epoca in cui si è titolati a vivere solo se perfetti. Ogni insufficienza, ogni debolezza, ogni fragilità sembra bandita. Ma c'è un altro modo per mettersi in salvo, ed è costruire, come te, Giacomo, un'altra terra, fecondissima, la terra di coloro che sanno essere fragili."
- L'arte di essere fragili: come Leopardi può salvarti la vita, Alessandro D'Avenia. 2016
Nessun commento:
Posta un commento