Quando pensiamo a Tiziano Ferro, le prime canzoni che
vengono alla mente sono quelle che l’hanno reso famoso in tutto il mondo. In
cima alla lista ci sono sempre “Ti Scatterò una foto”, “Perdono”, “Rosso
Relativo” e tutte le altre scritte quando aveva vent’anni. Spesso si crede
erroneamente che un artista abbia dato il meglio di sé con i suoi primi pezzi,
quando lo conoscevano in pochi. Personalmente non la penso così, anzi, mano a
mano che l’artista matura, matura anche il pubblico e un testo come “Perdono”
oggi non avrebbe lo stesso impatto che aveva avuto allora, nel lontano 2001.
Oggi voglio parlare di una canzone più recente, seppur di
otto anni fa: Per dirti ciao.
Questa canzone è un singolo estratto dal quindo album di
Tiziano Ferro, “L’amore è una cosa
semplice”. Un testo dolce, ma anche dal retrogusto amaro perché parla di
lutto. Una fan, infatti, rimasta da giovanissima vedova, aveva scritto
all’artista una lettera in cui raccontava di come le sue canzoni l’avessero
sostenuta nel momento peggiore. Questo brano, di neanche tre minuti e mezzo,
parla di morte, abbandono, ma con una speranza di sottofondo. Malgrado nasca
dalla morte di un marito, la canzone si plasma bene su ogni perdita di una
persona. Non si fa mai riferimento all’amore tra due amanti, ma all’amore come
sentimento puro e genuino, elemento chiave nell’album da cui il brano è tratto.
Che si tratti di un compagno, di un famigliare o di un amico non importa, “Per
dirti ciao” non applica distinzioni.
C’è stato un periodo della mia vita in cui non riuscivo a
sentire questa canzone, perché ogni frase era un colpo al cuore. Riportava alla
mente una ferita che non si è mai del tutto rimarginata.
Soffierà
nel vento una lacrima che tornerà da te per dirti ciao… ciao! Mio piccolo
ricordo in cui nascosi anni di felicità… ciao! E guardami affrontare questa
vita come fossi ancora qui
Nell’elaborazione del lutto, chi ci
è accanto e vuole darci forza tende a ripetere “Cosa direbbe quella persona se
ti vedesse così?”. Lì per lì sono parole vuote, l’unico pensiero è “E pure se
fosse? Non può più vedermi, né così, né meglio.” Non è una domanda che aiuta la
persona a stare meglio, come può se l’unico pensiero fisso è l’assenza? Però
quando riusciamo a scendere a patti con il nostro dolore, sono quelle le parole
che ci ripetiamo, che mandiamo alla persona che ci manca. Guardami affrontare
questa vita con grinta, come se fossi ancora qui accanto a me.
E
guarda con orgoglio chi sostiene anche le guerre che non può.
Qui Tiziano Ferro non parla, secondo
me, delle guerre dei potenti, ma delle nostre guerre quotidiane. Compiamo le
nostre piccole lotte per tirare avanti. Ci battiamo, perdiamo, vinciamo, ma per
lo meno ci abbiamo provato. Per questo speriamo che chi non c’è più ci guardi
con orgoglio, perché per lo meno ci abbiamo messo l’impegno. Abbiamo stretto i
denti, ci siamo ributtati nella vita.
E
senza pace dentro al petto so che non posso fare tutto ma se tornassi farei
tutto e basta… E guardo fisso quella porta perché se entrassi un’altra volta vorrebbe
dire che anche io son morto già' e tornerei da te per dirti ciao…
Questo, più di tutto il resto del testo,
era il punto che non riuscivo a sentire. Nel dolore, rimpiangiamo il cosiddetto
“tempo perso”. Avremmo potuto fare di più, dimostrare maggiormente amore, ma ce
ne rendiamo conto solo nell’assenza. Abbiamo la consapevolezza che di più non
potevamo fare, ma la persona ci manca talmente tanto che se avessimo la
possibilità di tornare indietro, proveremmo lo stesso a fare il massimo. Non ci
resta quindi che il ricordo di quella persona, la speranza che, riaperta una
porta, quella persona sia ancora lì, con il sorriso sulle labbra. Poi
sopraggiunge la coscienza a interrompere questo turbinio di pensieri: se
fossimo davvero davanti alla persona che ci manca, vorrebbe dire che l’abbiamo
raggiunta, per chi ci crede. In quel momento potrebbero davvero riabbracciarla,
dirle anche un semplice “ciao”. Non ci rendiamo conto dell’importanza di queste
semplici lettere.
La
vita come tu te la ricordi un giorno se ne andò con te…
L’elaborazione del lutto si compone
di fasi: negazione, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione. Sono
cinque stadi che di solito affrontiamo senza neanche accorgercene. Arrivati
alla fase dell’accettazione, possiamo dire di essere finalmente venuti a patti
con il nostro dolore e, anche se la ferita è ancora aperta, possiamo comunque
continuare a vivere perché, sì, la vita continua. Accettazione è anche capire
che, nonostante tutto, la vita non sarà più come quando c’era quella persona,
ma comunque lottiamo e andiamo avanti. Il mondo non si ferma di fronte al
nostro dolore, non si ferma davanti al dolore di nessuno. Accettiamo e andiamo
avanti, ma portando con noi quanto quella persona ci ha dato, quello che ci ha
insegnato e, andando avanti, saremo pronti ad aiutare anche gli altri e noi
stessi nello scorrere delle nostre vite.
Vi lascio il link per sentire la canzone --> link
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