Questo è un racconto diviso in tre parti. Cliccando qui potete recuperare la prima.
Quando ero bambina pensavo che la mattina appartenesse solo ai veri fortunati. Quando ero adolescente pensavo che la mattina volesse dire libertà.
Il tempo si prese prima nonno Erminio, poi nonna Costanza, infine nonno Tonio. Nonna Giovanna rimase la sola di quell’unito gruppo di amici e parenti acquisiti, così per non farla sentire sola, venne a vivere con noi che eravamo solo tre in una casa grande abbastanza per cinque. Non so quello che facesse durante le mattine, ma mentre ero completamente disinteressata alle lezioni di latino, matematica e quant’altro, sentivo stringermi il cuore in petto al pensiero che lei stesse a casa da sola, a guardare la televisione, senza compagnia alcuna.
Si era spostata di quartiere, con noi era sempre sorridente, ma sentivo che c’era qualcosa che non andava, cinquant’anni di abitudini e di amore non potevano essere cancellati in qualche mese da noi.
Portavo dentro così tanta malinconia per la mancanza dei miei nonni che la riversavo sull’unica che era rimasta in vita e quando un giorno di novembre cominciò a grandinare, scoppiai in un pianto così intenso che i professori chiamarono i miei genitori e insieme decisero che potevo tornarmene a casa, anche senza nessuno ad accompagnarmi.