Una madre. Dodici figli. Due identità. E una ricerca disperata di sé stessi
Quando la narrativa incontra la memoria, e la memoria si fa voce di due anime — quella di un figlio alla ricerca delle proprie radici e quella di una madre che ha dovuto cancellarsi per sopravvivere — nasce un libro come Il colore dell’acqua. Un memoir potente, struggente, profondamente umano.
James McBride, musicista e scrittore, impiega ben quattordici anni per scavare nel silenzio di sua madre, Ruth McBride Jordan, nata Rachel Shilsky. Quello che ne emerge è un ritratto spiazzante, ricco di contraddizioni e amore, di dolore e resistenza. È la storia di una donna ebrea ortodossa che abbandona tutto per rifarsi una vita come madre afroamericana in una società che non perdona né l’ambiguità razziale né il disordine delle origini.
Struttura narrativa: due voci, un’unica sinfonia
Il romanzo si articola in una doppia voce: quella di James, narratore consapevole e confuso al tempo stesso, e quella della madre Ruth, viva, ironica, testarda, che racconta la propria infanzia traumatica e l’esilio volontario dalla propria identità. Il punto di forza de Il colore dell’acqua è proprio questo dialogo tra le generazioni, tra chi ha vissuto e chi cerca di comprendere.
James, nero e cresciuto in un quartiere nero, ha sempre vissuto con l’ombra del “perché mia madre è bianca?” appesa come una domanda mai posta. Ruth, invece, ha seppellito il suo passato con ostinazione e dolore, rifiutando ogni categorizzazione. Per lei, il colore dell’acqua — incolore, appunto — è l’unico colore che conta: quello dell’anima, della spiritualità, dell’amore.
Temi forti, attualissimi
Il colore dell’acqua non è solo un memoir familiare. È anche un libro che parla di razzismo sistemico, di identità fluide e non riconciliate, di maternità come atto di resistenza. Ruth cresce dodici figli da sola (dopo la morte del primo marito), imponendo disciplina, amore, cultura e una fede incrollabile nell’istruzione. James passa dalla devianza giovanile all’affermazione come artista e scrittore, in un percorso in cui il riscatto personale è inseparabile dalla comprensione della propria storia familiare.
C’è anche un sottofondo di critica sociale: l’America del dopoguerra, le lotte civili, il clima tossico di Harlem negli anni ‘60 e ‘70, il silenzio sugli abusi familiari, la misoginia celata nelle comunità religiose. McBride riesce a parlare di tutto questo senza retorica, ma con onestà disarmante.
Perché leggerlo oggi?
In un’epoca in cui si parla tanto di intersectionality, questo libro è più attuale che mai. Ruth è una donna che vive all’intersezione di razza, genere e fede, e il suo modo di affrontare (e spesso sfuggire) a queste etichette è profondamente contemporaneo. James ci offre uno sguardo empatico, mai giudicante, che ci ricorda quanto sia importante raccontare — e ascoltare — le storie scomode.
Il colore dell’acqua è un viaggio nella memoria e nell’identità. È un libro che ti scava dentro, che non dà risposte semplici e che sfida ogni schema razziale e culturale. È la celebrazione di una madre imperfetta ma straordinaria, e di un figlio che, per capire se stesso, ha dovuto prima capire lei.
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