lunedì 14 aprile 2025

#Documentari: Sweet Bobby - Il mio incubo

Sembrerò cinica, ma io non mi fido di nessuno al 100%. Conosco le mie migliori amiche da trentasei e diciassette anni, puoi essere un mio famigliare, ma a livello di fiducia rimarrai sempre uguale alla persona appena incontrata. Questo non vuol dire che non mi apra, al contrario, vuol dire che ormai mi aspetto tutto da tutti.


Ecco che il documentario Netflix “Sweet Bobby: il mio incubo” non mi ha stupita particolarmente.
I casi di catfish – persone che sui social si fingono altre persone – sono all’ordine del giorno, ma se adesso è un po’ più semplice scovarli, a inizi Duemila, quando Facebook era agli albori, era davvero facile cadere in questa trappola manipolatoria, purtroppo ancora non perseguibile come reato. 
 
Kirat Assi è una speaker radiofonica locale nel Regno Unito che ha già raccontato la sua vicenda in un suo podcast, accessibile cliccando qui Approdando sulla piattaforma streaming, ora ne siamo tutti a conoscenza ed ha dell’inquietante. Non tanto per i reati commessi, quanto per la facilità con cui la stessa Kirat sia entrata in connessione con una persona mai vista.
 
Partiamo dall’inizio. Kirat Assi appartiene alla comunità sikh – comunità religiosa e politico- militare dell’India, fondata nell’intento di unire indù e musulmani nella fede in un Dio unico di Londra, il suo gruppo famigliare e amicale è quindi molto vicino e unito. Tutti conoscono tutti e come spesso accade in questo tipo di mentalità, le famiglie danno molta pressione ai figli affinché si sposino e mettano su famiglia. Kirat non ne scampa, ma allo stesso tempo vive in una relazione tira e molla con il suo fidanzato da circa diciotto anni. A starle accanto e a supportarla nei momenti no di questa relazione c’è tutto il parentato, soprattutto la cugina minore Simran che, sebbene molto più piccola di lei, è come una sorella coetanea.

Così quando Bobby Jandu, fratello del fidanzato di Simran – poi divenuto ex – aggiunge Kirat su Facebook, questa lo accetta senza problemi: i Jandu sono famosi per essere un’ottima famiglia nella comunità Sikh, Bobby è un medico riconosciuto che si divide tra Londra e il Kenya e in più Simran è davvero stata con il fratello di Bobby. Piano piano Kirat aggiunge tutti gli amici e parenti di Bobby e i due iniziano a parlare. Insomma, non c’è nulla di male nel parlare online con una persona, anche se questa non si è mai vista dal vivo.

La vita di Bobby, così come quella di Kirat, procede tranquilla tra post, foto e video, persino quelli dell’annuncio del suo fidanzamento e poi imminente matrimonio, al quale Kirat viene invitata senza problemi, ma purtroppo non può recarsi per problemi in famiglia.
Passano gli anni, il rapporto tra lei e Bobby diventa sempre più stretto grazie alle chat. Bobby divorzia e i due cominciano una relazione romantica, ma quando è tempo di vedersi arrivano le scuse più assurde: prima Bobby è a rischio vita a seguito di una sparatoria avvenuta in Kenya – gli stessi parenti inviano a Kirat le foto di Bobby in ospedale – poi è sotto copertura testimoni per non si capisce bene quale motivo, poi ancora viene colpito da un ictus e perde completamente l’uso della voce. Accetta le chiamate Skype dopo anni, ma senza mai accendere la telecamera e proferire parola.
Kirat non demorde, nonostante persino la famiglia comincia a nutrire dei dubbi. Quando, però, le vengono posti lei reagisce urlando e allontanandosi. Solo la cugina Simran la supporta nonostante tutto. Probabilmente perché lei ha conosciuto il vero Bobby…

Trascorrono così nove anni, nove anni nei quali a Bobby nasce persino un figlio con la ex moglie, nove anni in cui Bobby si fa sempre più assillante: Kirat non può uscire senza il suo permesso, perde il lavoro, non assiste la nonna in un punto di morte, rimane completamente sola… Stanca di tutto decide di affrontarlo e messo alle strette scopre un’inquietante verità: Bobby in realtà è sua cugina Simran; la quale, però, non si è fermata solo a un profilo, ma era dietro a tutti gli altri del parentado Jandu avendone circa una sessantina.

Come è stato possibile tutto ciò? È la domanda che mi pongo quando seguo ogni caso catfish.

Ora i social hanno preso le loro piccole – pressoché inutili – precauzioni: i profili hanno un numero di cellulare, se si ha il minimo dubbio che la persona non sia reale si può segnalare, ma se i troll continuano a intasare i profili nel 2024, figuriamoci un decennio fa… a questo va aggiunto la pressione al matrimonio – che tanto se non la impone la famiglia, ci pensa la società – e una donna sui trenta come nel caso di Kirat che vuole accontentare tutti e sentirsi realizzata solo per avere un marito e dei figli, è facile cada in trappola.

Quello che trovo davvero inquietante, però, è la cugina che, ben conoscendola e vedendola appassirsi in questa relazione tossica non muove un dito. Non si sente colpevole, continua nella follia di gestire circa sessanta profili, in atti di vera coercizione ai danni di Kirat ogni volta che litigava con “Bobby” perché usciva, o persino parlava alla radio con gli spettatori…

Se il catfish ancora non è riconosciuto come reato, lo sono almeno il controllo coercitivo, la manipolazione psicologica, lo stalking, e il furto d’identità, tutte accuse cadute su Simran, ma ancora in attesa di giudizio.
Ci sarebbe molto altro da dire su questo caso, ma credo che addentrarsi nei dettagli vorrebbe dire studiare a fondo la psiche di vittime e carnefici, e in sarebbe un lavoro troppo complesso, soprattutto per me che sicuramente non sono un’esperta.

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