ph. Gioele Vettraino |
Per non perdere la nostra chiacchierata che ha trattato di temi molto importanti, però, abbiamo deciso di trascriverla e pubblicarla online sul nostro sito.
Ringraziamo ancora Mattia Rame per la sua disponibilità e per l’incredibile anima e artista che è.
Iniziamo con una breve biografia dell’artista: Mattia Brescia nasce a Roma nel 1985 e fin da piccolissimo nutre un profondo interesse verso le parole, la scrittura e i suoni.
Si avvicina al mondo del calcio, sport che sembra diventare la sua vita, finché la vita stessa decide che sarà la musica la sua strada. Al liceo si appassiona ad artisti come De André, Battiato, i Pink Floyd, i Doors, gli Smiths, i Cure, i Joy Division, i Radiohead, i Nirvana, Aphex Twin, i Prodigy, gli Afterhours e i Marlene Kuntz. A tutti loro si aggiungono i grandi scrittori come: Jack London, Mark Twain, Stevenson e Dickens.
Perfettamente abile a coniugare diversi generi musicali e filoni di pensieri filofosici, Mattia Rame inizia la sua carriera in diverse band, ma è quando torna a Roma dopo delle parentesi a Formentera e Berlino che decide di far conoscere se stesso in concerti in giro per l’Italia assieme ad Aron Carlocchia.
Decide di registrare il suo primo album assieme ad Alessandro Giovannini, ed è così che nel 2022 esce “Come un cane”, con videclip girato a Lecce, opera di Marco Riccardi, con protagonista il primo ballerino del Teatro dell’Opera di Vienna.
Dal 2023, sotto la guida di Giancarlo Bornigia e con la sua neo-etichetta Gallia Music, pubblica “Muoviti” e “Mare Mare”, brani che anticipano il suo primo disco ufficiale: “Lo spazio, l’Egitto, Battiato”, uscito a gennaio 2024.
Innanzitutto grazie per quest’intervista e grazie soprattutto perché mi hai fatto sapere una cosa fondamentale: l’ascendente. Stando su Apollo Station, stiamo su una base spaziale dove le costellazioni sono padrone. Quindi, tu sei Leone ascendente Bilancia bel posizionamento, insomma, proprio da artista.
Sì, esatto. Dicono che l’Universo, con le sue costellazioni, rappresenti un lato del carattere di ognuno di noi e lo rivediamo nei segni. Dicono anche che ci sia una connessione tra il Sole e l’Ascendente, e ho scoperto che è il posizionamento migliore. Inizialmente non credevo a questa cosa, però poi vedendolo ha una sua base, è un po’ come tutto: sei fatto in un modo, poi sta a te affrontare le cose nel modo in cui vuoi. La vita ha i suoi eventi che non puoi evitare, certo che se poi fai andare la tua parte negativa, ecco che questo aspetto non è più così migliore.
So che fin da piccolo tu hai nutrito questa passione per i suoni, le parole in generale. Leggendo dalla tua bio, ho ricordato quella di Paul McCartney che da bambino amava la musica tanto quanto la letteratura. Poi sentendo i tuoi brani, noto questo accostamento: non sono parole dette tanto per, hai molta capacità di dire esattamente quello che vuoi, probabilmente sfruttando anche la Bilancia, in maniera un po’ criptica. Tu la vivi così o è un processo inconscio di quando scrivi?
Io non ho un metodo fiscale, che si ripete sempre. Posso lavorare prima sui testi, poi metto la musica; o parto dalla musica e poi arrivano i testi. Oppure ancora il brano è già iniziato e io aggiungo altro. Credo che tutto ciò che leggiamo, ascoltiamo e viviamo si sedimenti in noi e se uno ha l’attitudine introspettiva, come un artista, a modo loro tutte fluiscono.
A proposito di Paul McCartney, io volevo citare Jung che è un’anima incredibile, che diceva: l’inconscio è un poeta. Sicuramente nel campo artistico bisognerebbe lasciare fluire l’inconscio, non per forza andando a capire effettivamente le logiche della ragione umana. In questo caso spesso l’artista ha il lato logico che lo guida fino a un certo punto, quello in cui vuole arrivare, poi accade l’inconsapevole e che viene spiegato dagli ascoltatori, o dalla critica. Nel momento in cui hai scritto o composto, però, sei totalmente preda della poesia, c’è una sorta di possessione, è più o meno così.
Grazie per aver citato Jung, perché volevo appunto parlare con te della notte dell’anima. Dall’esterno sembra tutto molto facile, ma ogni persona e ogni artista vive le sue crisi interiori. Come sei riuscito ad affrontarle e cosa consiglieresti a un giovane che vivendo il suo buio pensa di non saper fare nulla?
Bella, interessante questa domanda. Io penso riguardi un po’ tutti, non solo gli artisti, anche se questa categoria vive continuamente nella diatriba sul valore della critica. Wilde diceva che l’artista è il primo critico, proprio perché applica il dubbio alla categoria della conoscenza. Quindi le crisi ci sono, sono molte, ma cos’è in concreto la crisi? Deriva dal verbo greco crisis, quindi ha a che fare con tutto ciò che distingue, decide, è il momento in cui dobbiamo prendere una decisione. Abbiamo sempre tante possibilità, in base alle nostre funzioni e ai nostri limiti, quindi la crisi è il momento in cui stiamo lì a scegliere la giusta strada da prendere.
Poi abbiamo momenti più lunghi o più corti, crisi più o meno profonde; a volte rimaniamo nella condizione statica della crisi stessa. Io ho passato una lunga crisi, un giorno vorrei parlarne più approfonditamente, per quattro anni della mia vita non ho fatto assolutamente nulla se non curare dei miei danni. Amici, famigliari, chiunque mi stava attorno pensava anche che non sarei tornato a vivere una vita normale. Con questo voglio dire che certo, non è necessario passare il dolore per essere creativi e fare cose belle, ma spesso è inevitabile, è come un passaggio scritto. Spesso succede che dal quel malessere arrivino poi gioie e felicità che sono strettamente connaturate. È proprio immergendosi in quello stato di dolore che arrivano le soluzioni al problema da cui stavi fuggendo. È così che arriva quella forza creatrice e creativa che è poi la realtà stessa.
A volte è necessario farsi travolgere dalla corrente, altre volte è meglio non farlo. Noi nasciamo e facciamo questo viaggio per scoprire la nostra identificazione e arrivare al nucleo principale dell’anima, perché lei ad avere una sua missione. Stiamo per aiutarci e aiutare l’umanità intera.
È normale da giovani avere la visione assolutistica della realtà, ci sono passato anch’io: stai male e pensi di stare così in eterno. Ma poi si diventa sempre più relativisti, ed è una vera e propria liberazione quella di ricordarsi che siamo solo attimi ripetuti. Ecco, vorrei dire che se ce l’ho fatta io, possono farcela tutti.
In effetti tutto questo discorso lo rivedo molto in alcune tue canzoni del primo album: “Lo spazio, l’Egitto, Battiato”. Parliamo per esempio di “I Ghiacciai”, perché reputo che il cambiamento per migliorare il mondo parta prima di tutto dal cambiare noi stessi. Quindi bisogna chiedersi cosa si vuole, comprendere cosa manca per poterlo raggiungere.
Sì, qui forse c’è la metafora più facile, anche se mai banale perché poi nella sua sottigliezza è proprio come hai detto tu…
Poi vorrei citare “Muoviti”, che secondo me come stile si avvicina molto a Battiato e mi ha colpito proprio perché un po’ si immagina come gli animali vedano gli esseri umani…
Questa canzone è proprio alla Battiato. Non ho mai voluto imitarlo, perché la penso un po’ come alla Wilde: “L’imitazione è il peggiore degli insulti”. Però lo omaggio a livello concettuale. “Muoviti” la intendo come una figlia di Battiato, così come “Mare Mare” dove c’è proprio una sua citazione. Però al di fuori di queste due, non pensi ci possa essere in un qualche modo Battiato dietro alle altre.
Io Battiato l’ho messo nel titolo perché come nel suo lavoro, ci sono canzoni tutto sommato pop, molto semplici, molto facili però piene di citazioni alte e colte.
In “Muoviti”, per esempio, il ritornello è una citazione di William James, padre della psicologia americana: “È impossibile rimanere tristi manifestando i sintomi dell’allegria.” e poi ho aggiunto “e allora muoviti”, perché quello era l’inizio della psicologia del positivismo americano, impensabile per noi europei. Però se ci pensi, è vero: hai un pensiero e ti senti in quel modo, lo cambi, ti muovi, e cambi anche tu. La prima frase della seconda strofa è: “Tutta la vita è risolvere problemi” è il titolo di un libro di Popper, tutto il disco è pieno di cose così. È un miscuglio di citazioni e riflessioni, è un gioco simpatico.
L’ultima citazione mi ha fatto pensare anche a John Lennon che diceva: “Non esistono problemi, solo soluzioni”, ed è un po’ la stessa cosa: se non ti muovi in direzione della soluzione, rimarrai sempre nel problema…
E poi, tra l’altro, quando ci spaventiamo ci riempiamo di paura e viviamo nel dolore e pensiamo che se ci muoviamo è peggio, invece è il contrario. È la parte interessante della vita: cercare la soluzione. È difficile, ma la bellezza è proprio qui.
L’ultima canzone su cui vorrei fermarmi un po’ è “Leggere”, ovviamente da scrittrice…
E vediamo se l’hai colta, su “Leggere” cosa hai sentito?
Fin da bambina sono sempre stata attratta molto dalle persone, le ho sempre fissate, cerco di entrare proprio nella loro mente e capire cosa pensano, provano. E “Leggere” la intendo così: certo, leggere libri, storie, ma anche le persone. Non ha senso, per me, avere una persona accanto che vedi felice e sorridenti ma non riesci a cogliere la vera lettura dentro di lei, da uno sguardo, o dal momento di un attimo…
Sì, “Leggere” è proprio lì: nella leggerezza, leggerina dal punto di vista musicale ma a livello filosofico e intellettuale è arzigogolata. Le strofe sono tutte citazioni di titoli, come “Leggere Lolita a Teheran” di Azar Nafisi, o “Kafka sulla spiaggia” di Murakami… se non sai che sono titoli di libri pensi che stia parlando di Lolita o Kafka, e dopotutto funziona anche così.
“Leggere” è proprio una mia meta-riflessione sulla lettura e sulla letteratura che si risolve nel ritornello, che è la cosa che hai appena detto: bisogna saper leggere. Non sappiamo mai cosa passa per la testa della gente, ma è un’abilità che potremmo aumentare, sia con la lettura dei libri che con la lettura del mondo.
Sì, esatto. Dicono che l’Universo, con le sue costellazioni, rappresenti un lato del carattere di ognuno di noi e lo rivediamo nei segni. Dicono anche che ci sia una connessione tra il Sole e l’Ascendente, e ho scoperto che è il posizionamento migliore. Inizialmente non credevo a questa cosa, però poi vedendolo ha una sua base, è un po’ come tutto: sei fatto in un modo, poi sta a te affrontare le cose nel modo in cui vuoi. La vita ha i suoi eventi che non puoi evitare, certo che se poi fai andare la tua parte negativa, ecco che questo aspetto non è più così migliore.
So che fin da piccolo tu hai nutrito questa passione per i suoni, le parole in generale. Leggendo dalla tua bio, ho ricordato quella di Paul McCartney che da bambino amava la musica tanto quanto la letteratura. Poi sentendo i tuoi brani, noto questo accostamento: non sono parole dette tanto per, hai molta capacità di dire esattamente quello che vuoi, probabilmente sfruttando anche la Bilancia, in maniera un po’ criptica. Tu la vivi così o è un processo inconscio di quando scrivi?
Io non ho un metodo fiscale, che si ripete sempre. Posso lavorare prima sui testi, poi metto la musica; o parto dalla musica e poi arrivano i testi. Oppure ancora il brano è già iniziato e io aggiungo altro. Credo che tutto ciò che leggiamo, ascoltiamo e viviamo si sedimenti in noi e se uno ha l’attitudine introspettiva, come un artista, a modo loro tutte fluiscono.
A proposito di Paul McCartney, io volevo citare Jung che è un’anima incredibile, che diceva: l’inconscio è un poeta. Sicuramente nel campo artistico bisognerebbe lasciare fluire l’inconscio, non per forza andando a capire effettivamente le logiche della ragione umana. In questo caso spesso l’artista ha il lato logico che lo guida fino a un certo punto, quello in cui vuole arrivare, poi accade l’inconsapevole e che viene spiegato dagli ascoltatori, o dalla critica. Nel momento in cui hai scritto o composto, però, sei totalmente preda della poesia, c’è una sorta di possessione, è più o meno così.
Grazie per aver citato Jung, perché volevo appunto parlare con te della notte dell’anima. Dall’esterno sembra tutto molto facile, ma ogni persona e ogni artista vive le sue crisi interiori. Come sei riuscito ad affrontarle e cosa consiglieresti a un giovane che vivendo il suo buio pensa di non saper fare nulla?
ph. Gioele Vettraino |
Poi abbiamo momenti più lunghi o più corti, crisi più o meno profonde; a volte rimaniamo nella condizione statica della crisi stessa. Io ho passato una lunga crisi, un giorno vorrei parlarne più approfonditamente, per quattro anni della mia vita non ho fatto assolutamente nulla se non curare dei miei danni. Amici, famigliari, chiunque mi stava attorno pensava anche che non sarei tornato a vivere una vita normale. Con questo voglio dire che certo, non è necessario passare il dolore per essere creativi e fare cose belle, ma spesso è inevitabile, è come un passaggio scritto. Spesso succede che dal quel malessere arrivino poi gioie e felicità che sono strettamente connaturate. È proprio immergendosi in quello stato di dolore che arrivano le soluzioni al problema da cui stavi fuggendo. È così che arriva quella forza creatrice e creativa che è poi la realtà stessa.
A volte è necessario farsi travolgere dalla corrente, altre volte è meglio non farlo. Noi nasciamo e facciamo questo viaggio per scoprire la nostra identificazione e arrivare al nucleo principale dell’anima, perché lei ad avere una sua missione. Stiamo per aiutarci e aiutare l’umanità intera.
È normale da giovani avere la visione assolutistica della realtà, ci sono passato anch’io: stai male e pensi di stare così in eterno. Ma poi si diventa sempre più relativisti, ed è una vera e propria liberazione quella di ricordarsi che siamo solo attimi ripetuti. Ecco, vorrei dire che se ce l’ho fatta io, possono farcela tutti.
In effetti tutto questo discorso lo rivedo molto in alcune tue canzoni del primo album: “Lo spazio, l’Egitto, Battiato”. Parliamo per esempio di “I Ghiacciai”, perché reputo che il cambiamento per migliorare il mondo parta prima di tutto dal cambiare noi stessi. Quindi bisogna chiedersi cosa si vuole, comprendere cosa manca per poterlo raggiungere.
Sì, qui forse c’è la metafora più facile, anche se mai banale perché poi nella sua sottigliezza è proprio come hai detto tu…
Poi vorrei citare “Muoviti”, che secondo me come stile si avvicina molto a Battiato e mi ha colpito proprio perché un po’ si immagina come gli animali vedano gli esseri umani…
Questa canzone è proprio alla Battiato. Non ho mai voluto imitarlo, perché la penso un po’ come alla Wilde: “L’imitazione è il peggiore degli insulti”. Però lo omaggio a livello concettuale. “Muoviti” la intendo come una figlia di Battiato, così come “Mare Mare” dove c’è proprio una sua citazione. Però al di fuori di queste due, non pensi ci possa essere in un qualche modo Battiato dietro alle altre.
Io Battiato l’ho messo nel titolo perché come nel suo lavoro, ci sono canzoni tutto sommato pop, molto semplici, molto facili però piene di citazioni alte e colte.
In “Muoviti”, per esempio, il ritornello è una citazione di William James, padre della psicologia americana: “È impossibile rimanere tristi manifestando i sintomi dell’allegria.” e poi ho aggiunto “e allora muoviti”, perché quello era l’inizio della psicologia del positivismo americano, impensabile per noi europei. Però se ci pensi, è vero: hai un pensiero e ti senti in quel modo, lo cambi, ti muovi, e cambi anche tu. La prima frase della seconda strofa è: “Tutta la vita è risolvere problemi” è il titolo di un libro di Popper, tutto il disco è pieno di cose così. È un miscuglio di citazioni e riflessioni, è un gioco simpatico.
L’ultima citazione mi ha fatto pensare anche a John Lennon che diceva: “Non esistono problemi, solo soluzioni”, ed è un po’ la stessa cosa: se non ti muovi in direzione della soluzione, rimarrai sempre nel problema…
E poi, tra l’altro, quando ci spaventiamo ci riempiamo di paura e viviamo nel dolore e pensiamo che se ci muoviamo è peggio, invece è il contrario. È la parte interessante della vita: cercare la soluzione. È difficile, ma la bellezza è proprio qui.
L’ultima canzone su cui vorrei fermarmi un po’ è “Leggere”, ovviamente da scrittrice…
E vediamo se l’hai colta, su “Leggere” cosa hai sentito?
ph. Gioele Vettraino |
Sì, “Leggere” è proprio lì: nella leggerezza, leggerina dal punto di vista musicale ma a livello filosofico e intellettuale è arzigogolata. Le strofe sono tutte citazioni di titoli, come “Leggere Lolita a Teheran” di Azar Nafisi, o “Kafka sulla spiaggia” di Murakami… se non sai che sono titoli di libri pensi che stia parlando di Lolita o Kafka, e dopotutto funziona anche così.
“Leggere” è proprio una mia meta-riflessione sulla lettura e sulla letteratura che si risolve nel ritornello, che è la cosa che hai appena detto: bisogna saper leggere. Non sappiamo mai cosa passa per la testa della gente, ma è un’abilità che potremmo aumentare, sia con la lettura dei libri che con la lettura del mondo.
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