È come me, visto che cambio
Il cielo è rosso
Io so perché, visto che sanguino
È una tempesta
Davanti a noi, che sta arrivando
Io non ho altro, tendo il mio arco.
Il cielo è rosso
Io so perché, visto che sanguino
È una tempesta
Davanti a noi, che sta arrivando
Io non ho altro, tendo il mio arco.
Il tramonto colora di rosa il cielo alle spalle del Castello di Santa Severa il 2 luglio di quest’anno. Su uno spianale c’è un palco, una batteria e una tastiera sono già in posizione. Il sole sparisce oltre l’orizzonte e alle ore ventidue tutte le luci del palco si spengono e tre figure salgono alle postazioni: sono Jano al basso, Mattia Crescini alla tastiera e Giorgio Gallo alla batteria. Cominciano a suonare e dal buio emerge Rancore, che inizia subito a cantare “Freccia”. È un brano contenuto nel suo ultimo album Xenoverso. Rancore, nome d’arte di Tarek Iurcich, è un rapper romano, classe 1989 che ha aperto l’estate degli eventi della regione Lazio “Sotto il cielo del Castello di Santa Severa”.
Grinta, voglia di urlare, ballare e saltare, Rancore unisce i novecento presenti a far casino insieme a lui. Solo che l’artista non si limita a cantare i suoi pezzi, ma dà vita a una storia, che è la stessa che tiene uniti tutti i pezzi di Xenoverso. Tarek è un cronosurfista, una sorta di postino interdimensionale. Passa dall’Universo allo Xenoverso, mandando messaggi da un mondo all’altro. Ma qualcosa va storto, perché comincia quasi a farsi beffe di questo “passaggio”, cominciando a saltellare da un mondo all’altro. E qualcosa sembra spezzarsi. Un altro Tarek appare alle sue spalle, su di uno schermo. Comincia ad affollargli la testa di frasi, di parole di disprezzo, mandando in bug anche “507”, la navicella con il pilota automatico che il cronosurfista usa per i suoi viaggi.
Mano a mano che la storia si sviluppa davanti agli occhi degli spettatori, il cantante fa scatenare il suo pubblico, cantando i pezzi che lo hanno reso famoso: subito dopo “Freccia”, canta “Eden”, il brano che portò a Sanremo nel 2020 che gli fece vincere il premio come miglior testo. È la volta poi di una favola per bambini, di principi, draghi, principesse e maghi. È l’introduzione per un altro suo brano celebre: “Sangue di Drago”.
È il turno poi di un brano più ironico rispetto ai precedenti, più leggero, “Federico”, in cui racconta con una verve impressionante il suo scontrarsi con i morti alla “The Walking Dead”. Contro, però, si ritrova un’orda di filosofi zombi, gli stessi che gli chiedono dei soldi, lasciandolo sbalordito. Ed ecco che va contro Platone, Democrito, Ipazia, Seneca e tanti altri, mentre cerca di convincere il suo amico Federico, che fino a poco prima nella narrazione stava fumando con lui, che si trovano di fronte a un “classico attacco di vecchi filosofi zombi”. Ma anche Federico è uno zombi, dopotutto, infatti quando Rancore canta di Nietzsche, parla proprio di lui (dopotutto il nome completo del filosofo è Friedrich Nietzsche).
“Sapevi che Dio è morto? O almeno così dice Nietzsche. Sapevi che Cristo è risorto? O almeno così dice Dio. Sapevi che Nietzsche è morto? Non vedi che Dio è felice. Sapevi che Nietzsche è risorto? O almeno così dico io.”
Dopo questo momento di leggerezza, è la volta di brani più profondi, brani che sono agli antipodi, ma accostati in maniera magistrale: “Ombra” e “S.U.N.S.H.I.N.E”. Nel primo brano, si parla dell’ombra come parte di noi, come qualcosa che è sempre presente ma che sparisce quando intorno a noi c’è solo buio. Non possiamo addossarle colpe, quasi come fosse il passato che ci segue in silenzio. Eppure se si prova a capire quanto questa ombra sia profonda, non basterebbe pensare al mare. Il secondo pezzo invece è quasi una invocazione al sole, ma di un sole quasi fittizio, di persone che vivono di una luce riflessa e Tarek accetta di stare in mezzo ai suoi demoni:
“Ghiaccio, sui tetti di questo villaggio. Adagio si scioglie non ne resterà un stralcio. Squarcio tra nuvole e poi sbuca un raggio, assumo coraggio per stare qua giù”
Il concerto si ferma e torna 507 con un messaggio per Tarek, momentaneamente tornata perché vanno consegnate tre lettere: una destinata a una donna, una a un bambino e l’ultima a più persone. Ed ecco che parte la tripletta di brani che abbiamo già analizzato: “Lontano 2036”, “X Agosto 2048” e “Arakno 2100”.
È la volta di “Io non sono io”, seguito da una breve introduzione al pezzo seguente: Rancore afferma che, come capita spesso, i cantanti a un certo punto della serata, danno dei chiari messaggi politici spesso vuoti, solo perché si sentono in dovere di farlo. Lui quindi propone di provare insieme a lui a fare una cosa del genere, e canta “Ignoranze funebri”. Ogni frase di questa canzone è una provocazione, un politicamente scorretto, una frecciatina ad argomenti che conosciamo tutti. Non serve spiegare altro, vi invitiamo ad ascoltarla per capire.
Le ultime canzoni della serata sono state “Le rime (Gara tra 507 parole)”, “Guardie & Ladri” e “Questa cosa che io ho scritto mi piace”. Dopodiché, prima di cantare “Xenoverso”, ha fatto urlare il pubblico così da “sconfiggere” l’altro Tarek. Urlando all’ombra del Castello, ci siamo avvicinati alla fine del concerto. Xenoverso è un brano potente, con dei riferimenti danteschi, dove il cantante sembra osservare tutto come da un punto di vista esterno. Vede l’universo dallo Xenoverso, un prigioniero che vuole liberarsi delle sue costrizioni per poter prendere nuovamente il controllo della sua vita.
E dopo un saluto veloce, il concerto sembrava ormai finito. Ma nessuno si è mosso, anzi, è partito il coro del pubblico che incitava Rancore a cantare un ultimo brano. L’attesa sembrava infinita, fino a che i musicisti sono tornati sul palco e il frontman con loro, emerso da una nuvola di fumo per concludere il concerto con “Questo Pianeta”.
Le emozioni che ci ha lasciato questa serata saranno per noi indimenticabili, che siamo rimaste completamente rapite dalla grinta che Rancore ha saputo mostrare sul palco. La forza delle sue parole la conoscevamo già, ma sentire i brani dal vivo è tutta un’altra cosa. In futuro non mancheremo ad altri suoi live, ma perché le sue parole hanno una forza dirompente che ti cattura e ti porta in mondi lontani. Fino allo Xenoverso.
Artista per molto tempo sottovalutato,temi mai banali,testi sempre più profondi,questo è il vero senso della musica
RispondiEliminaHai ragione, inoltre ha avuto una crescita non indifferente a livello artistico da "Musica per bambini" a "Xenoverso"
Elimina